Le personalità dissociative sono individui in cui la dissociazione patologica non compare come un sintomo occasionale, ma rappresenta un vero e proprio modus vivendi, ovvero soggetti in cui i meccanismi dissociativi sono così radicati da improntare l’intera personalità. Il disturbo può variare dalle forme più lievi  fino ai casi più gravi, diagnosticabili come Disturbo dissociativo dell’identità.

Introduzione​​​​​​​

Nonostante un’approfondita conoscenza della fenomenologia dissociativa fosse disponibile già alla fine dell’800, in particolare attraverso gli studi condotti da Pierre Janet presso la clinica Salpetriere di Parigi, la scelta di Freud di privilegiare una spiegazione del disagio psichico basata sui conflitti interni anziché sui traumi reali ha avuto l’effetto di distogliere per decenni lo sguardo della psicoanalisi da questi disturbi. Oggi sappiamo con certezza che la dissociazione ha un’origine traumatica.

Dissociazione normale

Alcuni processi dissociativi sono normalmente attivi nella nostra quotidianità.

Ad esempio il chirurgo, mentre esegue un’operazione, limita la sua percezione alla zona da operare, in qualche modo dissociando l’identità della persona sotto i ferri. Chi guida in autostrada per ore può entrare in uno stato quasi ipnotico, rischiando un incidente. Chi si immerge nella lettura di un libro si estranea temporaneamente dal resto della realtà ed è preso da soprassalto se qualcuno richiama all’improvviso la sua attenzione. Ogni giorno gli individui transitano tra diversi ruoli, tra mondo del lavoro, famiglia, tempo libero ecc.. Di solito, se i meccanismi dissociativi sono ben oleati, è normale dimenticare le preoccupazioni familiari quando si lavora o, viceversa, non “portarsi il lavoro a casa” . In alcune persone, la dissociazione tra ruoli appare così marcata da produrre quasi persone diverse in contesti diversi, come nel caso del tenero padre e amico affettuoso che sul posto di lavoro si trasforma in un individuo aggressivo e privo di scrupoli. Il “sé automobilista” è, di solito, un ottimo esempio di sé dissociato in una condizione di non patologia.

In alcune culture, stati dissociativi sono indotti attraverso rituali collettivi. Si tratta di fenomeni coerenti con la cultura e la religione di riferimento e perciò non possono in nessun caso essere rubricati come manifestazioni psicopatologiche; anzi, rappresentano pratiche che svolgono importanti funzioni a tutela della salute psichica della comunità.

Dissociazione patologica

La dissociazione è una particolare difesa che consente alla mente di scollegarsi dall’esperienza vissuta o da porzioni di essa. Se il suo utilizzo saltuario e localizzato può facilitare la vita delle persone, un ricorso massiccio e/o sistematico alle capacità dissociative della mente può generare l’insorgere di uno spettro di patologie di diversa gravità.

Fenomeni dissociativi

Esistono molti tipi di fenomeni dissociativi:

  • Il soggetto può disattivare sentimenti disturbanti e raccontare esperienze terribili con tono indifferente, come se fossero accadute ad un’altra persona.
  • Può obliare interi episodi della sua vita (amnesia dissociativa).
  • In stato di trans, può fuggire e risvegliarsi in un luogo sconosciuto senza ricordare com’è arrivato fin lì (fuga dissociativa).
  • Può dissociare parti del corpo, non riconoscendole come proprie.
  • Può provare uno strano senso di estraneità rispetto a sé stesso (depersonalizzazione), fino al punto da riuscire a vedersi come dal di fuori;
  • oppure può sentirsi alienato rispetto alla realtà, la quale gli appare non vera, artefatta, quasi si trattasse di una scena teatrale o di un film (derealizzazione).
  • può perdere il senso di sé stesso e degli altri come individualità integrate; ciò si manifesta in comportamenti contraddittori e in percezioni altalenanti e superficiali degli altri, accompagnati da un cronico senso di vuoto (diffusione dell’identità).

Trauma e dissociazione

La dissociazione rappresenta il meccanismo difensivo principale che la mente attiva di fronte ad esperienze di tipo traumatico. Sono definite “traumatiche” tutte quelle esperienze davanti alle quali il soggetto è sbaragliato, spazzato via. Di solito, parlando di trauma, si pensa ad esperienze intollerabili come abuso sessuale, tortura, violenza estrema subita o assistita, guerre e catastrofi naturali. In realtà non esistono eventi che di per sé siano traumatici.

La definizione di trauma si riferisce non a particolari eventi, ma all’impatto di un evento sulla mente, per cui ciò che può essere traumatico per un individuo in certe circostanze può non esserlo per un altro individuo o in altre circostanze. Se è pur vero che, di fronte a esperienze come quelle citate, chiunque riporterebbe gravose conseguenze psicologiche, non tutti subirebbero una vera e propria frantumazione della mente. Per essere definita traumatico, un evento deve avere il potere di mandare il sistema-mente in panne, producendo il collasso di tutti i dispositivi preposti alla registrazione, alla memorizzazione e alla significazione dell’esperienza: percezione, processi di categorizzazione, memoria.

Il black out della mente fa sì che l’esperienza traumatica sia attraversata e memorizzata in una condizione che potremmo definire di “assenza” del soggetto, di cecità cognitiva, di “trance“. Di fronte ad eventi minacciosi vissuti in uno stato di impotenza, quando cioè  il soggetto è impossibilitato a reagire con la fuga o con l’attacco,  l’unica possibile via di fuga è offerta dalla dissociazione: essa, inducendo nel soggetto uno stato di trance, consente almeno alla sua mente di fuggire via.

L’esperienza traumatica, attraversata da un soggetto in stato dissociato (ipnotizzato), bypassa tutti i normali dispositivi mentali di percezione, decodificazione e immagazzinamento della realtà e viene registrata direttamente nel corpo, dove permane nella forma di frammenti di immagini, suoni, odori, sensazioni corporee di incredibile intensità.

Le memorie traumatiche sono contenuti senza parole e senza significato, ma di enorme potenza. Esse sono conservate in un luogo isolato, senza collegamento con il resto del Sé: sono, appunto, “dissociate”. Il soggetto non può evocarle a piacimento e raccontarle come fa con i normali ricordi biografici, ma ne è improvvisamente e inaspettatamente travolto. Basta un odore, un rumore, un’immagine che si colleghi alla memoria traumatica e la persona si trova a rivivere ciò che lo ha sconvolto in passato come se stesse accadendo proprio nel momento attuale (flash back).

Questo tipo di sintomatologia fu studiata per la prima volta nei reduci di guerra del Vietnam e in seguito formalizzata nella categoria diagnostica del PTDS (Disordini Post Traumatici da Stress).

Relazioni traumatiche

Eppure uno degli aspetti più interessanti e studiati della dissociazione è il suo rapporto con fattori traumatici che, pur non apparendo così sconvolgenti se presi isolatamente, lo diventano se ripetuti nel tempo per una sorta di effetto cumulativo.

In questo caso si tratta non di “eventi”, ma di “relazioni traumatiche”, cioè fondate sul sistematico disconoscimento di una parte o dell’intera soggettività dell’individuo.

Per crescere costruendo un senso integrato di sé, il bambino ha bisogno non soltanto di essere curato e accudito, ma soprattutto riconosciuto come soggetto, ovvero come portatore di propri bisogni, emozioni, desideri, piani e progetti.

Il processo di riconoscimento è attivo nella mente dei genitori già prima della nascita del figlio e si concretizza fin dal primo sguardo della madre al neonato, uno sguardo che cerca di scoprire chi sia, chi sarà, chi diventerà quel piccolo essere umano. La crescita della mente necessita di questo continuo rispecchiamento da parte del genitore. Solo specchiandosi negli occhi di un altro il bambino può scoprire chi è, percepire i propri stati d’animo, scoprire il mondo delle emozioni, forgiare piani, nutrire desideri, insomma divenire un soggetto.

Alcuni genitori, tuttavia, non hanno sviluppato nella propria mente uno spazio libero, dedicato alla scoperta del figlio. Nelle loro interazioni con lui, vedono solo sé stessi. Mentre il bambino cerca nei loro occhi chi lui sia, il genitore rimanda solo la propria immagine. In queste relazioni, dove il bambino è trattato secondo i bisogni, i desideri, i piani del genitore, non c’è spazio per la libera scoperta di sé, anzi: il sé è spazzato via, ripetutamente cancellato. 

L’esempio più estremo di disconoscimento genitoriale è l’abuso sessuale. Mentre il bambino cerca la tenerezza del genitore, questo gli risponde sopraffacendolo col proprio bisogno sessuale adulto, annientandolo in maniera drammatica.

Vivere all’interno di contesti familiari traumatizzanti può generare diverse patologie, in particolare il disturbo borderline di personalità, disturbi alimentari e disturbi dissociativi, fino al più eclatante disturbo dissociativo dell’identità.

Il Disturbo dissociativo dell’identità

E’ la forma più clamorosa di personalità dissociativa, un tempo definita “personalità multipla”.

La frammentazione del Sé

Abbiamo visto, parlando dei normali fenomeni dissociativi, come qualsiasi persona abbia un sé molteplice e sfaccettato, che a volte genera quasi delle personalità diverse a seconda del contesto. Le persone normali, tuttavia, non fanno fatica a riconoscersi nei diversi ruoli che interpretano, non sono disturbate da tale molteplicità, che percepiscono come manifestazione diversificata di un unico sé centrale. Nel caso di persone con un disturbo dissociativo dell’identità, le cose stanno in modo molto diverso.

Questi soggetti sono caratterizzati da una frammentazione della loro personalità in numerose individualità parziali.

Esiste di solito una personalità centrale, definita sé-ospite, che è presente per la maggior parte del tempo. Ad essa si alternano diverse personalità secondarie, che possono differire per età, genere, addirittura per la lingua in cui si esprimono. Lo stato ipnotico favorisce il passaggio da un’identità all’altra: senza che il soggetto ne sia consapevole, il sé ospite scivola sullo sfondo e viene sostituito da un’altra personalità, che parla, si muove e si comporta in modo completamente diverso. Cambiano il tono della voce, le espressioni facciali, le movenze del corpo, tanto che il soggetto può apparire irriconoscibile. Il sé ospite può conoscere tutte le altre personalità, oppure solo alcune, oppure nessuna di loro; lo stesso vale per ciascuna personalità secondaria.

Le relazioni delle personalità dissociative

Le personalità dissociative in genere ricercano molto gli altri, apprezzano la loro attenzione e sono capaci di stabilire legami profondi. Sono in grado di suscitare intensi sentimenti di sollecitudine e tenerezza, per questo motivo riescono spesso a circondarsi di amici che colgono la loro sofferenza e si attaccano fortemente a loro.

Tuttavia, vista la tendenza dei soggetti traumatizzati a “ripetere il trauma”, può accadere loro di coinvolgersi in relazioni violente. Lo sfondo traumatico spiega anche perché questi individui, nonostante la loro particolare capacità di intercettare persone sensibili e disponibili all’aiuto, tipicamente abbiano seri problemi di fiducia.

Psicodinamica del disturbo dissociativo dell’identità

Il disturbo dissociativo dell’identità si sviluppa sulla base di gravi traumi ripetuti nel tempo, solitamente abuso sessuale infantile da parte di un genitore (o comunque di una figura di accudimento), prolungato negli anni e spesso accompagnato da violenza fisica e tortura. Eppure, eventi o condizioni di vita potenzialmente traumatiche da sole non appaiono sufficienti a spiegare la genesi di questo disturbo. In aggiunta al grave maltrattamento, nelle personalità multiple si ipotizza la presenza di particolari capacità autoipnotiche, cioè di una certa facilità nel cadere in stato di trance.

Effetti del trauma sulla psiche

Le personalità secondarie che colonizzano l’ospite rappresentano sottosistemi del sé i quali, sotto l’impatto di condizioni di crescita devastanti, non hanno avuto modo di potersi integrare in un’unica personalità centrale. I personaggi che subentrano di volta in volta rappresentano complessi di memorie dissociate, aspetti parziali dell’esperienza del paziente. Di solito compare un persecutore, una vittima, un bambino, una personalità aggressiva e pericolosa, ma anche testimoni o figure consolatorie. Le personalità distruttive possono essere molto pericolose, soprattutto per il sé centrale, perché possono svalutarlo e minacciarlo fino al punto da spingerlo al suicidio.

La spiegazione psicodinamica della genesi del disturbo è la frammentazione di un’esperienza così terrificante che il soggetto non ha potuto integrarla in un quadro unico. Di regola, si tratta di eventi traumatici avvenuti in età infantile e ripetuti nel tempo, per proteggersi dai quali la vittima (impossibilitata a contrattaccare o a fuggire) ha fatto ricorso a meccanismi dissociativi: derealizzando e depersonalizzandosi, dissociando il corpo o parti di esso, auto-inducendo stati ipnotici simili alla trance e scorporando in tanti comparti separati ricordi impossibili da gestire.

La dissociazione, arruolata inizialmente come difesa a tutela della sopravvivenza psichica, con il tempo ha finito per consolidarsi e radicalizzarsi, rendendo impossibile al soggetto poter fruire di un’esperienza unitaria e lasciandolo in balia di una molteplicità di aspetti di sé che, vissuti come personaggi indipendenti fuori dal suo controllo, si inseriscono prepotentemente nella sua vita.

Come si cura il disturbo dissociativo

Non esistono farmaci in grado di curare la dissociazione in quanto tale, ma in alcuni casi un trattamento farmacologico può essere utile a modulare sintomi concomitanti di natura ansiosa o depressiva, oppure a contenere l’impulsività.

Siccome il disturbo dissociativo varia da forme più lievi a forme più gravi, il trattamento deve essere preceduto da un’accurata indagine diagnostica, che ponga particolare attenzione a rilevare non solo il grado di sofferenza e di gravità dei sintomi, ma anche le capacità riflessive, emotive e relazionali del paziente, nonché a sua motivazione alla cura.

In ogni caso, il trattamento indicato è una psicoterapia, da declinare in direzione maggiormente centrata sul sostegno o sull’esplorazione a seconda del funzionamento mentale del singolo soggetto.

Le personalità dissociative sono individui in cui la dissociazione patologica non compare come un sintomo occasionale, ma rappresenta un vero e proprio modus vivendi, ovvero soggetti in cui i meccanismi dissociativi sono così radicati da improntare l’intera personalità. Il disturbo può variare dalle forme più lievi  fino ai casi più gravi, diagnosticabili come Disturbo dissociativo dell’identità.

Introduzione​​​​​​​

Nonostante un’approfondita conoscenza della fenomenologia dissociativa fosse disponibile già alla fine dell’800, in particolare attraverso gli studi condotti da Pierre Janet presso la clinica Salpetriere di Parigi, la scelta di Freud di privilegiare una spiegazione del disagio psichico basata sui conflitti interni anziché sui traumi reali ha avuto l’effetto di distogliere per decenni lo sguardo della psicoanalisi da questi disturbi. Oggi sappiamo con certezza che la dissociazione ha un’origine traumatica.

Dissociazione normale

Alcuni processi dissociativi sono normalmente attivi nella nostra quotidianità.

Ad esempio il chirurgo, mentre esegue un’operazione, limita la sua percezione alla zona da operare, in qualche modo dissociando l’identità della persona sotto i ferri. Chi guida in autostrada per ore può entrare in uno stato quasi ipnotico, rischiando un incidente. Chi si immerge nella lettura di un libro si estranea temporaneamente dal resto della realtà ed è preso da soprassalto se qualcuno richiama all’improvviso la sua attenzione. Ogni giorno gli individui transitano tra diversi ruoli, tra mondo del lavoro, famiglia, tempo libero ecc.. Di solito, se i meccanismi dissociativi sono ben oleati, è normale dimenticare le preoccupazioni familiari quando si lavora o, viceversa, non “portarsi il lavoro a casa” . In alcune persone, la dissociazione tra ruoli appare così marcata da produrre quasi persone diverse in contesti diversi, come nel caso del tenero padre e amico affettuoso che sul posto di lavoro si trasforma in un individuo aggressivo e privo di scrupoli. Il “sé automobilista” è, di solito, un ottimo esempio di sé dissociato in una condizione di non patologia.

In alcune culture, stati dissociativi sono indotti attraverso rituali collettivi. Si tratta di fenomeni coerenti con la cultura e la religione di riferimento e perciò non possono in nessun caso essere rubricati come manifestazioni psicopatologiche; anzi, rappresentano pratiche che svolgono importanti funzioni a tutela della salute psichica della comunità.

Dissociazione patologica

La dissociazione è una particolare difesa che consente alla mente di scollegarsi dall’esperienza vissuta o da porzioni di essa. Se il suo utilizzo saltuario e localizzato può facilitare la vita delle persone, un ricorso massiccio e/o sistematico alle capacità dissociative della mente può generare l’insorgere di uno spettro di patologie di diversa gravità.

Fenomeni dissociativi

Esistono molti tipi di fenomeni dissociativi:

  • Il soggetto può disattivare sentimenti disturbanti e raccontare esperienze terribili con tono indifferente, come se fossero accadute ad un’altra persona.
  • Può obliare interi episodi della sua vita (amnesia dissociativa).
  • In stato di trans, può fuggire e risvegliarsi in un luogo sconosciuto senza ricordare com’è arrivato fin lì (fuga dissociativa).
  • Può dissociare parti del corpo, non riconoscendole come proprie.
  • Può provare uno strano senso di estraneità rispetto a sé stesso (depersonalizzazione), fino al punto da riuscire a vedersi come dal di fuori;
  • oppure può sentirsi alienato rispetto alla realtà, la quale gli appare non vera, artefatta, quasi si trattasse di una scena teatrale o di un film (derealizzazione).
  • può perdere il senso di sé stesso e degli altri come individualità integrate; ciò si manifesta in comportamenti contraddittori e in percezioni altalenanti e superficiali degli altri, accompagnati da un cronico senso di vuoto (diffusione dell’identità).

Trauma e dissociazione

La dissociazione rappresenta il meccanismo difensivo principale che la mente attiva di fronte ad esperienze di tipo traumatico. Sono definite “traumatiche” tutte quelle esperienze davanti alle quali il soggetto è sbaragliato, spazzato via. Di solito, parlando di trauma, si pensa ad esperienze intollerabili come abuso sessuale, tortura, violenza estrema subita o assistita, guerre e catastrofi naturali. In realtà non esistono eventi che di per sé siano traumatici.

La definizione di trauma si riferisce non a particolari eventi, ma all’impatto di un evento sulla mente, per cui ciò che può essere traumatico per un individuo in certe circostanze può non esserlo per un altro individuo o in altre circostanze. Se è pur vero che, di fronte a esperienze come quelle citate, chiunque riporterebbe gravose conseguenze psicologiche, non tutti subirebbero una vera e propria frantumazione della mente. Per essere definita traumatico, un evento deve avere il potere di mandare il sistema-mente in panne, producendo il collasso di tutti i dispositivi preposti alla registrazione, alla memorizzazione e alla significazione dell’esperienza: percezione, processi di categorizzazione, memoria.

Il black out della mente fa sì che l’esperienza traumatica sia attraversata e memorizzata in una condizione che potremmo definire di “assenza” del soggetto, di cecità cognitiva, di “trance“. Di fronte ad eventi minacciosi vissuti in uno stato di impotenza, quando cioè  il soggetto è impossibilitato a reagire con la fuga o con l’attacco,  l’unica possibile via di fuga è offerta dalla dissociazione: essa, inducendo nel soggetto uno stato di trance, consente almeno alla sua mente di fuggire via.

L’esperienza traumatica, attraversata da un soggetto in stato dissociato (ipnotizzato), bypassa tutti i normali dispositivi mentali di percezione, decodificazione e immagazzinamento della realtà e viene registrata direttamente nel corpo, dove permane nella forma di frammenti di immagini, suoni, odori, sensazioni corporee di incredibile intensità.

Le memorie traumatiche sono contenuti senza parole e senza significato, ma di enorme potenza. Esse sono conservate in un luogo isolato, senza collegamento con il resto del Sé: sono, appunto, “dissociate”. Il soggetto non può evocarle a piacimento e raccontarle come fa con i normali ricordi biografici, ma ne è improvvisamente e inaspettatamente travolto. Basta un odore, un rumore, un’immagine che si colleghi alla memoria traumatica e la persona si trova a rivivere ciò che lo ha sconvolto in passato come se stesse accadendo proprio nel momento attuale (flash back).

Questo tipo di sintomatologia fu studiata per la prima volta nei reduci di guerra del Vietnam e in seguito formalizzata nella categoria diagnostica del PTDS (Disordini Post Traumatici da Stress).

Relazioni traumatiche

Eppure uno degli aspetti più interessanti e studiati della dissociazione è il suo rapporto con fattori traumatici che, pur non apparendo così sconvolgenti se presi isolatamente, lo diventano se ripetuti nel tempo per una sorta di effetto cumulativo.

In questo caso si tratta non di “eventi”, ma di “relazioni traumatiche”, cioè fondate sul sistematico disconoscimento di una parte o dell’intera soggettività dell’individuo.

Per crescere costruendo un senso integrato di sé, il bambino ha bisogno non soltanto di essere curato e accudito, ma soprattutto riconosciuto come soggetto, ovvero come portatore di propri bisogni, emozioni, desideri, piani e progetti.

Il processo di riconoscimento è attivo nella mente dei genitori già prima della nascita del figlio e si concretizza fin dal primo sguardo della madre al neonato, uno sguardo che cerca di scoprire chi sia, chi sarà, chi diventerà quel piccolo essere umano. La crescita della mente necessita di questo continuo rispecchiamento da parte del genitore. Solo specchiandosi negli occhi di un altro il bambino può scoprire chi è, percepire i propri stati d’animo, scoprire il mondo delle emozioni, forgiare piani, nutrire desideri, insomma divenire un soggetto.

Alcuni genitori, tuttavia, non hanno sviluppato nella propria mente uno spazio libero, dedicato alla scoperta del figlio. Nelle loro interazioni con lui, vedono solo sé stessi. Mentre il bambino cerca nei loro occhi chi lui sia, il genitore rimanda solo la propria immagine. In queste relazioni, dove il bambino è trattato secondo i bisogni, i desideri, i piani del genitore, non c’è spazio per la libera scoperta di sé, anzi: il sé è spazzato via, ripetutamente cancellato. 

L’esempio più estremo di disconoscimento genitoriale è l’abuso sessuale. Mentre il bambino cerca la tenerezza del genitore, questo gli risponde sopraffacendolo col proprio bisogno sessuale adulto, annientandolo in maniera drammatica.

Vivere all’interno di contesti familiari traumatizzanti può generare diverse patologie, in particolare il disturbo borderline di personalità, disturbi alimentari e disturbi dissociativi, fino al più eclatante disturbo dissociativo dell’identità.

Il Disturbo dissociativo dell’identità

E’ la forma più clamorosa di personalità dissociativa, un tempo definita “personalità multipla”.

La frammentazione del Sé

Abbiamo visto, parlando dei normali fenomeni dissociativi, come qualsiasi persona abbia un sé molteplice e sfaccettato, che a volte genera quasi delle personalità diverse a seconda del contesto. Le persone normali, tuttavia, non fanno fatica a riconoscersi nei diversi ruoli che interpretano, non sono disturbate da tale molteplicità, che percepiscono come manifestazione diversificata di un unico sé centrale. Nel caso di persone con un disturbo dissociativo dell’identità, le cose stanno in modo molto diverso.

Questi soggetti sono caratterizzati da una frammentazione della loro personalità in numerose individualità parziali.

Esiste di solito una personalità centrale, definita sé-ospite, che è presente per la maggior parte del tempo. Ad essa si alternano diverse personalità secondarie, che possono differire per età, genere, addirittura per la lingua in cui si esprimono. Lo stato ipnotico favorisce il passaggio da un’identità all’altra: senza che il soggetto ne sia consapevole, il sé ospite scivola sullo sfondo e viene sostituito da un’altra personalità, che parla, si muove e si comporta in modo completamente diverso. Cambiano il tono della voce, le espressioni facciali, le movenze del corpo, tanto che il soggetto può apparire irriconoscibile. Il sé ospite può conoscere tutte le altre personalità, oppure solo alcune, oppure nessuna di loro; lo stesso vale per ciascuna personalità secondaria.

Le relazioni delle personalità dissociative

Le personalità dissociative in genere ricercano molto gli altri, apprezzano la loro attenzione e sono capaci di stabilire legami profondi. Sono in grado di suscitare intensi sentimenti di sollecitudine e tenerezza, per questo motivo riescono spesso a circondarsi di amici che colgono la loro sofferenza e si attaccano fortemente a loro.

Tuttavia, vista la tendenza dei soggetti traumatizzati a “ripetere il trauma”, può accadere loro di coinvolgersi in relazioni violente. Lo sfondo traumatico spiega anche perché questi individui, nonostante la loro particolare capacità di intercettare persone sensibili e disponibili all’aiuto, tipicamente abbiano seri problemi di fiducia.

Psicodinamica del disturbo dissociativo dell’identità

Il disturbo dissociativo dell’identità si sviluppa sulla base di gravi traumi ripetuti nel tempo, solitamente abuso sessuale infantile da parte di un genitore (o comunque di una figura di accudimento), prolungato negli anni e spesso accompagnato da violenza fisica e tortura. Eppure, eventi o condizioni di vita potenzialmente traumatiche da sole non appaiono sufficienti a spiegare la genesi di questo disturbo. In aggiunta al grave maltrattamento, nelle personalità multiple si ipotizza la presenza di particolari capacità autoipnotiche, cioè di una certa facilità nel cadere in stato di trance.

Effetti del trauma sulla psiche

Le personalità secondarie che colonizzano l’ospite rappresentano sottosistemi del sé i quali, sotto l’impatto di condizioni di crescita devastanti, non hanno avuto modo di potersi integrare in un’unica personalità centrale. I personaggi che subentrano di volta in volta rappresentano complessi di memorie dissociate, aspetti parziali dell’esperienza del paziente. Di solito compare un persecutore, una vittima, un bambino, una personalità aggressiva e pericolosa, ma anche testimoni o figure consolatorie. Le personalità distruttive possono essere molto pericolose, soprattutto per il sé centrale, perché possono svalutarlo e minacciarlo fino al punto da spingerlo al suicidio.

La spiegazione psicodinamica della genesi del disturbo è la frammentazione di un’esperienza così terrificante che il soggetto non ha potuto integrarla in un quadro unico. Di regola, si tratta di eventi traumatici avvenuti in età infantile e ripetuti nel tempo, per proteggersi dai quali la vittima (impossibilitata a contrattaccare o a fuggire) ha fatto ricorso a meccanismi dissociativi: derealizzando e depersonalizzandosi, dissociando il corpo o parti di esso, auto-inducendo stati ipnotici simili alla trance e scorporando in tanti comparti separati ricordi impossibili da gestire.

La dissociazione, arruolata inizialmente come difesa a tutela della sopravvivenza psichica, con il tempo ha finito per consolidarsi e radicalizzarsi, rendendo impossibile al soggetto poter fruire di un’esperienza unitaria e lasciandolo in balia di una molteplicità di aspetti di sé che, vissuti come personaggi indipendenti fuori dal suo controllo, si inseriscono prepotentemente nella sua vita.

Come si cura il disturbo dissociativo

Non esistono farmaci in grado di curare la dissociazione in quanto tale, ma in alcuni casi un trattamento farmacologico può essere utile a modulare sintomi concomitanti di natura ansiosa o depressiva, oppure a contenere l’impulsività.

Siccome il disturbo dissociativo varia da forme più lievi a forme più gravi, il trattamento deve essere preceduto da un’accurata indagine diagnostica, che ponga particolare attenzione a rilevare non solo il grado di sofferenza e di gravità dei sintomi, ma anche le capacità riflessive, emotive e relazionali del paziente, nonché a sua motivazione alla cura.

In ogni caso, il trattamento indicato è una psicoterapia, da declinare in direzione maggiormente centrata sul sostegno o sull’esplorazione a seconda del funzionamento mentale del singolo soggetto.

Le personalità dissociative sono individui in cui la dissociazione patologica non compare come un sintomo occasionale, ma rappresenta un vero e proprio modus vivendi, ovvero soggetti in cui i meccanismi dissociativi sono così radicati da improntare l’intera personalità. Il disturbo può variare dalle forme più lievi  fino ai casi più gravi, diagnosticabili come Disturbo dissociativo dell’identità.

Introduzione​​​​​​​

Nonostante un’approfondita conoscenza della fenomenologia dissociativa fosse disponibile già alla fine dell’800, in particolare attraverso gli studi condotti da Pierre Janet presso la clinica Salpetriere di Parigi, la scelta di Freud di privilegiare una spiegazione del disagio psichico basata sui conflitti interni anziché sui traumi reali ha avuto l’effetto di distogliere per decenni lo sguardo della psicoanalisi da questi disturbi. Oggi sappiamo con certezza che la dissociazione ha un’origine traumatica.

Dissociazione normale

Alcuni processi dissociativi sono normalmente attivi nella nostra quotidianità.

Ad esempio il chirurgo, mentre esegue un’operazione, limita la sua percezione alla zona da operare, in qualche modo dissociando l’identità della persona sotto i ferri. Chi guida in autostrada per ore può entrare in uno stato quasi ipnotico, rischiando un incidente. Chi si immerge nella lettura di un libro si estranea temporaneamente dal resto della realtà ed è preso da soprassalto se qualcuno richiama all’improvviso la sua attenzione. Ogni giorno gli individui transitano tra diversi ruoli, tra mondo del lavoro, famiglia, tempo libero ecc.. Di solito, se i meccanismi dissociativi sono ben oleati, è normale dimenticare le preoccupazioni familiari quando si lavora o, viceversa, non “portarsi il lavoro a casa” . In alcune persone, la dissociazione tra ruoli appare così marcata da produrre quasi persone diverse in contesti diversi, come nel caso del tenero padre e amico affettuoso che sul posto di lavoro si trasforma in un individuo aggressivo e privo di scrupoli. Il “sé automobilista” è, di solito, un ottimo esempio di sé dissociato in una condizione di non patologia.

In alcune culture, stati dissociativi sono indotti attraverso rituali collettivi. Si tratta di fenomeni coerenti con la cultura e la religione di riferimento e perciò non possono in nessun caso essere rubricati come manifestazioni psicopatologiche; anzi, rappresentano pratiche che svolgono importanti funzioni a tutela della salute psichica della comunità.

Dissociazione patologica

La dissociazione è una particolare difesa che consente alla mente di scollegarsi dall’esperienza vissuta o da porzioni di essa. Se il suo utilizzo saltuario e localizzato può facilitare la vita delle persone, un ricorso massiccio e/o sistematico alle capacità dissociative della mente può generare l’insorgere di uno spettro di patologie di diversa gravità.

Fenomeni dissociativi

Esistono molti tipi di fenomeni dissociativi:

  • Il soggetto può disattivare sentimenti disturbanti e raccontare esperienze terribili con tono indifferente, come se fossero accadute ad un’altra persona.
  • Può obliare interi episodi della sua vita (amnesia dissociativa).
  • In stato di trans, può fuggire e risvegliarsi in un luogo sconosciuto senza ricordare com’è arrivato fin lì (fuga dissociativa).
  • Può dissociare parti del corpo, non riconoscendole come proprie.
  • Può provare uno strano senso di estraneità rispetto a sé stesso (depersonalizzazione), fino al punto da riuscire a vedersi come dal di fuori;
  • oppure può sentirsi alienato rispetto alla realtà, la quale gli appare non vera, artefatta, quasi si trattasse di una scena teatrale o di un film (derealizzazione).
  • può perdere il senso di sé stesso e degli altri come individualità integrate; ciò si manifesta in comportamenti contraddittori e in percezioni altalenanti e superficiali degli altri, accompagnati da un cronico senso di vuoto (diffusione dell’identità).

Trauma e dissociazione

La dissociazione rappresenta il meccanismo difensivo principale che la mente attiva di fronte ad esperienze di tipo traumatico. Sono definite “traumatiche” tutte quelle esperienze davanti alle quali il soggetto è sbaragliato, spazzato via. Di solito, parlando di trauma, si pensa ad esperienze intollerabili come abuso sessuale, tortura, violenza estrema subita o assistita, guerre e catastrofi naturali. In realtà non esistono eventi che di per sé siano traumatici.

La definizione di trauma si riferisce non a particolari eventi, ma all’impatto di un evento sulla mente, per cui ciò che può essere traumatico per un individuo in certe circostanze può non esserlo per un altro individuo o in altre circostanze. Se è pur vero che, di fronte a esperienze come quelle citate, chiunque riporterebbe gravose conseguenze psicologiche, non tutti subirebbero una vera e propria frantumazione della mente. Per essere definita traumatico, un evento deve avere il potere di mandare il sistema-mente in panne, producendo il collasso di tutti i dispositivi preposti alla registrazione, alla memorizzazione e alla significazione dell’esperienza: percezione, processi di categorizzazione, memoria.

Il black out della mente fa sì che l’esperienza traumatica sia attraversata e memorizzata in una condizione che potremmo definire di “assenza” del soggetto, di cecità cognitiva, di “trance“. Di fronte ad eventi minacciosi vissuti in uno stato di impotenza, quando cioè  il soggetto è impossibilitato a reagire con la fuga o con l’attacco,  l’unica possibile via di fuga è offerta dalla dissociazione: essa, inducendo nel soggetto uno stato di trance, consente almeno alla sua mente di fuggire via.

L’esperienza traumatica, attraversata da un soggetto in stato dissociato (ipnotizzato), bypassa tutti i normali dispositivi mentali di percezione, decodificazione e immagazzinamento della realtà e viene registrata direttamente nel corpo, dove permane nella forma di frammenti di immagini, suoni, odori, sensazioni corporee di incredibile intensità.

Le memorie traumatiche sono contenuti senza parole e senza significato, ma di enorme potenza. Esse sono conservate in un luogo isolato, senza collegamento con il resto del Sé: sono, appunto, “dissociate”. Il soggetto non può evocarle a piacimento e raccontarle come fa con i normali ricordi biografici, ma ne è improvvisamente e inaspettatamente travolto. Basta un odore, un rumore, un’immagine che si colleghi alla memoria traumatica e la persona si trova a rivivere ciò che lo ha sconvolto in passato come se stesse accadendo proprio nel momento attuale (flash back).

Questo tipo di sintomatologia fu studiata per la prima volta nei reduci di guerra del Vietnam e in seguito formalizzata nella categoria diagnostica del PTDS (Disordini Post Traumatici da Stress).

Relazioni traumatiche

Eppure uno degli aspetti più interessanti e studiati della dissociazione è il suo rapporto con fattori traumatici che, pur non apparendo così sconvolgenti se presi isolatamente, lo diventano se ripetuti nel tempo per una sorta di effetto cumulativo.

In questo caso si tratta non di “eventi”, ma di “relazioni traumatiche”, cioè fondate sul sistematico disconoscimento di una parte o dell’intera soggettività dell’individuo.

Per crescere costruendo un senso integrato di sé, il bambino ha bisogno non soltanto di essere curato e accudito, ma soprattutto riconosciuto come soggetto, ovvero come portatore di propri bisogni, emozioni, desideri, piani e progetti.

Il processo di riconoscimento è attivo nella mente dei genitori già prima della nascita del figlio e si concretizza fin dal primo sguardo della madre al neonato, uno sguardo che cerca di scoprire chi sia, chi sarà, chi diventerà quel piccolo essere umano. La crescita della mente necessita di questo continuo rispecchiamento da parte del genitore. Solo specchiandosi negli occhi di un altro il bambino può scoprire chi è, percepire i propri stati d’animo, scoprire il mondo delle emozioni, forgiare piani, nutrire desideri, insomma divenire un soggetto.

Alcuni genitori, tuttavia, non hanno sviluppato nella propria mente uno spazio libero, dedicato alla scoperta del figlio. Nelle loro interazioni con lui, vedono solo sé stessi. Mentre il bambino cerca nei loro occhi chi lui sia, il genitore rimanda solo la propria immagine. In queste relazioni, dove il bambino è trattato secondo i bisogni, i desideri, i piani del genitore, non c’è spazio per la libera scoperta di sé, anzi: il sé è spazzato via, ripetutamente cancellato. 

L’esempio più estremo di disconoscimento genitoriale è l’abuso sessuale. Mentre il bambino cerca la tenerezza del genitore, questo gli risponde sopraffacendolo col proprio bisogno sessuale adulto, annientandolo in maniera drammatica.

Vivere all’interno di contesti familiari traumatizzanti può generare diverse patologie, in particolare il disturbo borderline di personalità, disturbi alimentari e disturbi dissociativi, fino al più eclatante disturbo dissociativo dell’identità.

Il Disturbo dissociativo dell’identità

E’ la forma più clamorosa di personalità dissociativa, un tempo definita “personalità multipla”.

La frammentazione del Sé

Abbiamo visto, parlando dei normali fenomeni dissociativi, come qualsiasi persona abbia un sé molteplice e sfaccettato, che a volte genera quasi delle personalità diverse a seconda del contesto. Le persone normali, tuttavia, non fanno fatica a riconoscersi nei diversi ruoli che interpretano, non sono disturbate da tale molteplicità, che percepiscono come manifestazione diversificata di un unico sé centrale. Nel caso di persone con un disturbo dissociativo dell’identità, le cose stanno in modo molto diverso.

Questi soggetti sono caratterizzati da una frammentazione della loro personalità in numerose individualità parziali.

Esiste di solito una personalità centrale, definita sé-ospite, che è presente per la maggior parte del tempo. Ad essa si alternano diverse personalità secondarie, che possono differire per età, genere, addirittura per la lingua in cui si esprimono. Lo stato ipnotico favorisce il passaggio da un’identità all’altra: senza che il soggetto ne sia consapevole, il sé ospite scivola sullo sfondo e viene sostituito da un’altra personalità, che parla, si muove e si comporta in modo completamente diverso. Cambiano il tono della voce, le espressioni facciali, le movenze del corpo, tanto che il soggetto può apparire irriconoscibile. Il sé ospite può conoscere tutte le altre personalità, oppure solo alcune, oppure nessuna di loro; lo stesso vale per ciascuna personalità secondaria.

Le relazioni delle personalità dissociative

Le personalità dissociative in genere ricercano molto gli altri, apprezzano la loro attenzione e sono capaci di stabilire legami profondi. Sono in grado di suscitare intensi sentimenti di sollecitudine e tenerezza, per questo motivo riescono spesso a circondarsi di amici che colgono la loro sofferenza e si attaccano fortemente a loro.

Tuttavia, vista la tendenza dei soggetti traumatizzati a “ripetere il trauma”, può accadere loro di coinvolgersi in relazioni violente. Lo sfondo traumatico spiega anche perché questi individui, nonostante la loro particolare capacità di intercettare persone sensibili e disponibili all’aiuto, tipicamente abbiano seri problemi di fiducia.

Psicodinamica del disturbo dissociativo dell’identità

Il disturbo dissociativo dell’identità si sviluppa sulla base di gravi traumi ripetuti nel tempo, solitamente abuso sessuale infantile da parte di un genitore (o comunque di una figura di accudimento), prolungato negli anni e spesso accompagnato da violenza fisica e tortura. Eppure, eventi o condizioni di vita potenzialmente traumatiche da sole non appaiono sufficienti a spiegare la genesi di questo disturbo. In aggiunta al grave maltrattamento, nelle personalità multiple si ipotizza la presenza di particolari capacità autoipnotiche, cioè di una certa facilità nel cadere in stato di trance.

Effetti del trauma sulla psiche

Le personalità secondarie che colonizzano l’ospite rappresentano sottosistemi del sé i quali, sotto l’impatto di condizioni di crescita devastanti, non hanno avuto modo di potersi integrare in un’unica personalità centrale. I personaggi che subentrano di volta in volta rappresentano complessi di memorie dissociate, aspetti parziali dell’esperienza del paziente. Di solito compare un persecutore, una vittima, un bambino, una personalità aggressiva e pericolosa, ma anche testimoni o figure consolatorie. Le personalità distruttive possono essere molto pericolose, soprattutto per il sé centrale, perché possono svalutarlo e minacciarlo fino al punto da spingerlo al suicidio.

La spiegazione psicodinamica della genesi del disturbo è la frammentazione di un’esperienza così terrificante che il soggetto non ha potuto integrarla in un quadro unico. Di regola, si tratta di eventi traumatici avvenuti in età infantile e ripetuti nel tempo, per proteggersi dai quali la vittima (impossibilitata a contrattaccare o a fuggire) ha fatto ricorso a meccanismi dissociativi: derealizzando e depersonalizzandosi, dissociando il corpo o parti di esso, auto-inducendo stati ipnotici simili alla trance e scorporando in tanti comparti separati ricordi impossibili da gestire.

La dissociazione, arruolata inizialmente come difesa a tutela della sopravvivenza psichica, con il tempo ha finito per consolidarsi e radicalizzarsi, rendendo impossibile al soggetto poter fruire di un’esperienza unitaria e lasciandolo in balia di una molteplicità di aspetti di sé che, vissuti come personaggi indipendenti fuori dal suo controllo, si inseriscono prepotentemente nella sua vita.

Come si cura il disturbo dissociativo

Non esistono farmaci in grado di curare la dissociazione in quanto tale, ma in alcuni casi un trattamento farmacologico può essere utile a modulare sintomi concomitanti di natura ansiosa o depressiva, oppure a contenere l’impulsività.

Siccome il disturbo dissociativo varia da forme più lievi a forme più gravi, il trattamento deve essere preceduto da un’accurata indagine diagnostica, che ponga particolare attenzione a rilevare non solo il grado di sofferenza e di gravità dei sintomi, ma anche le capacità riflessive, emotive e relazionali del paziente, nonché a sua motivazione alla cura.

In ogni caso, il trattamento indicato è una psicoterapia, da declinare in direzione maggiormente centrata sul sostegno o sull’esplorazione a seconda del funzionamento mentale del singolo soggetto.