Si parla di personalità ansiosa quando inquietudine, preoccupazione, evitamento di situazioni avvertite come rischiose o paure specifiche di vario genere (fobie) concorrono a definire un caratteristico “stile” personale dell’individuo, una vita vissuta sotto la stella dell’ansia, senza che ciò comporti la comparsa di sintomi così spiccati da formulare la diagnosi di un vero e proprio disturbo d’ansia. Se, tuttavia, il modo d’essere di queste persone diventa così rigido ed esasperato da indurle a rinunciare a rilevanti porzioni di esperienza, si può parlare di un Disturbo ansioso di personalità.

Fisionomia della personalità ansiosa

L’ansia e le sue diverse forme

Il vissuto dominante delle personalità di tipo ansioso è l’inquietudine, uno stato di continua, agitata, preoccupazione.

L’apprensione di solito non si rivolge verso un oggetto specifico, ma fluttua liberamente verso una minaccia dai contorni indefiniti: il soggetto vive nella costante attesa che, da qualche parte, qualcosa di brutto capiterà. Il futuro si colora di tinte minacciose, con la sensazione che tutto ciò che è stato costruito potrebbe infrangersi da un momento all’altro come un castello di sabbia spianato dall’onda.

L’ansia può anche incanalarsi in forme più definite, come paura di:

  • fallire;
  • cadere in povertà;
  • essere abbandonato o emarginato,
  • perdere la stima degli altri,
  • subire rappresaglie;
  • essere vittimizzato o denigrato;
  • contrarre malattie o che i propri cari possano ammalarsi;
  • tradire i propri valori morali;
  • nei casi più gravi, di una catastrofica frantumazione di sé.

Altre volte, l’ansia può concentrarsi su particolari oggetti che suscitano un misto di angoscia, paura e disgusto e che il soggetto si premura in ogni modo di evitare: alcuni animali come ragni, topi o blatte, oppure aghi e siringhe, o il dentista; o ancora, altezze, gallerie, spazi angusti o troppo aperti. In tal caso si parla di “fobie”.

Psicodinamica del disturbo ansioso di personalità

L’attaccamento insicuro

Lo sviluppo della personalità e della relazionalità adulta risentono significativamente della possibilità di aver sperimentato o meno un “attaccamento sicuro” nell’infanzia. L’attaccamento è la relazione di dipendenza del bambino dai suoi genitori. Un attaccamento sicuro si realizza quando le figure genitoriali sono affidabili, prevedibili, in grado di rassicurare il bambino in caso di bisogno ma anche di lasciarlo muovere liberamente in assenza di pericolo. Per le persone che da adulte sviluppano un disturbo ansioso di personalità, di solito, non è stato così.

Per vari motivi, i loro genitori non sono stati in grado di rappresentare “una base sicura”, un porto tranquillo e protetto al quale far ritorno, in caso di bisogno, dai progressivi movimenti di perlustrazione del mondo.

Possono essere stati genitori disponibili in modo discontinuo, incapaci o impossibilitati a rispondere con costanza ai bisogni di vicinanza del figlio; oppure famiglie segnate da ripetute separazioni; oppure può esserci stato un genitore particolarmente timoroso, disincentivante verso i tentativi di esplorazione del bambino, che in questo modo incoraggiava la percezione del mondo come un posto insicuro e pieno di pericoli.

In alcuni casi, oggi molto meno frequenti che in passato, si è trattato di genitori che hanno usato la minaccia di abbandono come mezzo pseudo-educativo, inducendo nel bambino un senso di drammatica precarietà verso il legame. O, ciò che è più frequente, di genitori che si sono serviti (spesso inconsciamente) di forme più sottili di controllo, comunicando che il loro amore e la loro presenza non era scontata, ma condizionata dai comportamenti e dal modo di essere del figlio.

L’immagine di sé e degli altri

Crescendo in un contesto di cronica insicurezza, gli individui strutturalmente ansiosi tendono a nutrire scarsa fiducia sia in se stessi che negli altri. L’immagine di sé è spesso quella di una persona fragile e bisognosa, mentre l’altro è visto come forte e indipendente, ma inaffidabile. Il mondo, allo stesso modo, è percepito come un luogo imprevedibile e pieno di minacce.

La relazione con i soggetti ansiosi

Una delle paure centrali nelle personalità ansiose è quella di essere abbandonate e lasciate sole. Per questo motivo, è frequente che le loro relazioni siano caratterizzate da una continua richiesta di rassicurazione e di vicinanza, richiesta cui l’altro, purtroppo, pur con tutto il suo impegno, di solito non riesce a soddisfare. Pieno di frustrazione per l’inutilità di ogni suo sforzo, l’altro tende così a ritirarsi dalla relazione, confermando così i peggiori timori dell’ansioso.

Le fobie

Per sfuggire ai morsi dell’inquietudine e a stati di preoccupata agitazione che non riescono a regolare, alcune personalità ansiose sviluppano delle fobie: si tratta di un meccanismo psichico che consente di legare l’ansia libera e indeterminata ad un oggetto specifico, per così dire materializzandola, e dando così al soggetto l’illusione di poterla controllare attraverso manovre d’evitamento.

Certo che, se evitare l’incontro con topi o blatte può comportare limitazioni irrisorie nella vita di un individuo, lo stesso non può dirsi per un agente di commercio spaventato dagli aerei o per chiunque non possa uscire in spazi aperti o salire su un’automobile.

Come si cura il disturbo ansioso di personalità

Come per tutti i disturbi di personalità, non esistendo farmaci in grado di modificare l’assetto caratteriale delle persone, l’unico trattamento indicato è una psicoterapia.

La psicoterapia psicoanalitica

Un percorso di psicoterapia psicoanalitica potrà aiutare la persona ansiosa a rintracciare le origini della sua inquietudine nei modelli relazionali appresi nell’infanzia. La possibilità di comprendere il senso delle proprie paure, aiuterà l’individuo a ridimensionarle e a strutturare rapporti nuovi e più soddisfacenti con le persone care: ad essere diverso come figlio, come genitore e come partner. Lentamente, anche il mondo non apparirà più come quel luogo pericoloso e inospitale che sembrava. 

La terapia farmacologica

Qualora i sintomi dovessero essere così invasivi da ostacolare in modo significativo il normale svolgimento delle funzioni quotidiane, si tratterebbe di un vero e proprio Disturbo d’ansia sorto in un carattere strutturalmente ansioso. In questo caso è opportuno valutare l’opportunità di affiancare la psicoterapia con un sostegno farmacologico in grado di modulare i sintomi fino a farli rientrare entro un limite di tollerabilità.

E’ utile ricordare, a questo proposito, che i farmaci ansiolitici (EN, Tavor, Xanax, Lexotan – per citare i nomi commerciali maggiormente utilizzati), a causa dell’aumento progressivo della tolleranza dell’organismo alla loro azione, generano dipendenza, con la conseguenza di dover aumentare sempre più il dosaggio per ottenere lo stesso effetto. Per questo motivo, vanno assunti sotto stretta osservanza medica.