omosessualità

Quando si parla di orientamento sessuale e identità di genere (omosessualità, transessualismo e transgenderismo), è importante ricordare che l’essere umano può manifestare un’incredibile varietà nel percepire se stesso e nell’amare un altro essere umano.

Il desiderio erotico e sentimentale, che nella maggior parte delle persone si volge verso il sesso opposto, può anche dirigersi verso individui dello stesso sesso. Perfino la percezione di sé stessi in quanto uomini o donne (identità di genere) non è una questione così pacifica come si è portati a credere. Come non è scontato il fatto che ciascuno di noi sia obbligato a identificarsi in modo univoco come uomo o donna, eterosessuale o omosessule..

I modi concreti in cui gli individui realizzano e plasmano la propria identità di genere sono molteplici e sfaccettati. Tutto ciò è un inequivocabile segno di soggettività: della libertà, ma anche del difficile compito di scoprire e progettare chi si diventerà e come si amerà.

Prima di addentrarci in questo discorso, è bene iniziare con un breve glossario dei termini e delle definizioni, nel linguaggio comune spesso utilizzate in senso assai improprio.

Glossario

  • Sesso
    Si intende l’identità biologica di un individuo in quanto maschio o femmina ed è riscontrabile attraverso gli organi sessuali e i caratteri sessuali secondari (seno, fianchi ecc. per le femmine; barba, pomo d’adamo ecc. per i maschi). A parte alcune rare eccezioni (ermafroditismo), gli individui dal punto di vista del sesso si dividono in Maschi e Femmine.
  • Genere
    E’ una categoria psichica che indica la percezione soggettiva di appartenenza all’identità maschile o femminile – in pratica: il sentirsi Uomini o Donne. Dato che tale concetto si riferisce al modo in cui le persone si identificano, si parla di Identità di genere.
  • Orientamento sessuale
    Indica la direzione che assume il desiderio erotico e affettivo di un individuo, ovvero la meta sulla quale esso si indirizza: se su un individuo dello stesso sesso/genere o di sesso/genere opposto.
  • Transessuale
    E’ un soggetto in cui sesso e genere non corrispondono e che vive tale mancanza di corrispondenza come stridente dissonanza.
    I transessuali sono individui maschi che si sentono donne oppure femmine che si sentono uomini. Queste persone percepiscono il proprio corpo come incongruente rispetto alla propria identità psichica, si sentono come calati in un involucro fisico che, dal punto di vista sessuale, non corrisponde loro: come uomini impiantati in un corpo di femmina o donne impiantate in un corpo di maschio.
    Nei confronti dei propri organi sessuali, nonché dei caratteri sessuali secondari, nutrono intensi sentimenti di angoscia, vergogna e disgusto. Per i transessuali di sesso femminile e con un’identità di genere maschile è particolarmente penosa la fase del ciclo mestruale.

A questo miscuglio di sentimenti di ripulsa e angoscia verso il proprio corpo è stato dato i nome di disforia di genere. Per sottrarsi a questa penosa sensazione, gli individui transessuali ricorrono ad un intervento definito di riassegnazione di genere, che prevede, attraverso l’utilizzo di cure ormonali e della chirurgia plastica, l’adeguamento del corpo all’immagine psichica che il soggetto ha di sé.

  • Transgender
    Come il transessuale, è un soggetto in cui sesso biologico e identità di genere non coincidono ma, a differenza del primo, non è disturbato da tale discrepanza. Anzi, rifiuta di identificarsi con un solo genere e si percepisce in modo trasversale rispetto al maschile e al femminile.
    I transgender possono avere sembianze femminili e organi genitali maschili o, al contrario, sembianze femminili e organi genitali maschili. Non percependo la non coincidenza tra sesso e genere come un problema, gli individui transgender non richiedono la riassegnazione di genere.
  • Omosessuale/eterosessuale
    A differenza delle precedenti categorie, il concetto di omosessualità/eterosessualità non riguarda la definizione di sé, ovvero la questione dell’identità del soggetto. Riguarda invece la direzione verso la quale vira il suo desiderio sensuale e sentimentale: se verso un soggetto dello stesso sesso/genere o del sesso/genere opposto.
    Gli/le omosessuali, esattamente come la maggioranza di individui eterosessuali, hanno quindi un’identità congruente con il proprio sesso biologico. Sono, rispettivamente, maschi che si sentono uomini e femmine che si sentono donne ma, diversamente dalla maggioranza della popolazione, sono attratti da individui dello stesso sesso e genere: uomini che amano uomini e donne che amano donne.
  • Bisessuale
    Come la precedente categoria, anche questo concetto riguarda non l’identità ma l’orientamento sessuale del soggetto, l’oggetto della sua scelta amorosa. I bisessuali sono individui attratti sia da individui dello stesso sesso/genere che da individui di sesso/genere opposto.
  • Identità di genere e identità di ruolo
    A differenza dell’identità di genere, che riguarda il sentirsi uomini o donne, l’identità di ruolo concerne il modo specifico in cui tale identità è declinata dal singolo individuo.

Ogni società e cultura presenta una versione del maschile e del femminile che si incarna in molteplici forme quali abbigliamento, comportamenti attesi (e a volte prescritti), predilezioni, mansioni e attività lavorative, attività ludiche, giochi tipici, colori-simbolo ecc. Anche se, nella nostra cultura, la rivoluzione dei costumi introdotta dal ’68 ha mescolato le carte in tavola e non ci si aspetta più – per esempio – che le donne portino gonna al ginocchio e capelli lunghi, i modelli sociali alla base dei generi presentano un carattere tutt’ora fortemente binario.

L'attività plasmante della società e la libertà individuale

Fin da bambini gli individui, attraverso molteplici azioni che partono dal fornire loro bambole o macchinine, vengono plasmati o come futuri uomini o come future donne. All’interno di tale contesto, tuttavia, ciascun individuo può scegliere in una certa misura come realizzare la propria identità di genere: in quale modo particolare essere-uomo o essere-donna. Ci sono, pertanto, donne che prediligono capelli corti e abiti sportivi o sono dedite ad attività tradizionalmente maschili come bricolage o sport da combattimento, come ci sono uomini che si sottopongono a diversi trattamenti estetici ed amano svolgere mansioni domestiche.

Comportamenti e modi di essere che si discostano dagli stereotipi in voga in una particolare società e in un particolare momento storico non vanno interpretati come potenziali segni di omosessualità o di un disturbo di identità di genere. Essi rappresentano invece la libera espressione di un individuo che è stato in grado di intraprendere una strada personale, non convenzionale, alla realizzazione di sé in quanto donna o uomo.

Omosessualità, transgenderismo, transessualismo

In tutta questa varietà, cos’è normalità e cosa patologia?

E’ sempre difficile tracciare una linea netta che distingua cosa è normale da cosa non lo è. In questo caso, la strada più scorrevole è quella che parte da un punto fermo, da tempo riconosciuto dal sapere psicologico e psichiatrico e sempre di più condiviso da strati sempre più ampi della nostra società:

l’omosessualità non è una patologia ma una normale variante del comportamento erotico e affettivo dell’individuo.

In tutta questa varietà, cos’è normalità e cosa patologia?

E’ sempre difficile tracciare una linea netta che distingua cosa è normale da cosa non lo è. In questo caso, la strada più scorrevole è quella che parte da un punto fermo, da tempo riconosciuto dal sapere psicologico e psichiatrico e sempre di più condiviso da strati sempre più ampi della nostra società:

l’omosessualità non è una patologia ma una normale variante del comportamento erotico e affettivo dell’individuo.

Patologizzazione e depatologizzazione dell’omosessualità

L’omosessualità è stata considerata per lungo tempo una perversione morale o un crimine, finché nel 1952  l’APA (American Psychiatric Assotiation) l’ha rubricata tra le patologie psichiatriche. Nel primo Manuale Diagnostico Statistico (DSM I, il testo più utilizzato per le diagnosi psichiatriche, ad oggi giunto alla V edizione) essa viene catalogata come disturbo socio-patico della persona: una patologia per la quale poteva essere previsto il ricovero coatto in manicomio e la terapia elettroconvulsiva.

Nella seconda edizione del Manuale, uscita nel 1968 (DSM II), la diagnosi di omosessualità viene ricatalogata come devianza sessuale, al pari della pedofilia e della necrofilia.

Bisogna attendere il 1973 perché, con la nuova edizione del DSM III, l’APA riconosca l’omosessualità come un orientamento sessuale e quindi come un fenomeno di per sé  non patologico, anche se rimane previsto il trattamento psichiatrico nel caso in cui sia il soggetto a richiederlo.

Siamo nel 1990 quando, con l’edizione DSM-IV, l’omosessualità finalmente viene riconosciuta come una normale variante dell’orientamento sessuale e affettivo del soggetto per cui non può essere attuato alcun trattamento, indipendentemente dalle richieste dell’individuo.

Diagnosi psichiatrica e lotta per i diritti civili

Il lungo percorso di depatologizzazione dell’omosessualità ha seguito in parallelo la lunga battaglia di uomini e donne gay per vedere riconosciuti i propri diritti civili. Nonostante la nostra società occidentale abbia fatto passi da gigante in questa direzione, purtroppo tutt’oggi permangono inquietanti fenomeni di discriminazione, violenza psicologica e perfino aggressioni fisiche ai danni di persone omosessuali. 

Il dibattito su transessualismo e trangenderismo

Se, per quanto riguarda l’omosessualità, la comunità scientifica è da diversi decenni concorde nel considerarla una normale espressione della natura umana, il dibattito su transessualismo e transgenderismo resta tutt’ora aperto.

Una notevole svolta è stata introdotta dal DSM -V, pubblicato nel 2013. Nella precedente edizione era presente la categoria Disturbo di Identità di Genere (DIG), con la quale si definiva come patologica la discrepanza tra genere e sesso biologico. Nel nuovo manuale al suo posto è stata introdotta la categoria diagnostica Disforia di Genere (DG). Da questo nuovo punto di vista, ad essere rubricato come disturbo mentale non è la mancata coincidenza tra identità psichica e e biologica, ma i sentimenti di ripulsa, angoscia e disgusto per il proprio corpo che ciò può provocare.

Ad essere patologica non è la diversità, ma la sofferenza che essa può produrre

Abbracciando tale prospettiva, mentre i soggetti transgender possono essere considerati espressione di una normale, per quanto assai rara, possibilità umana di declinare il proprio genere in senso trasversale, gli individui transessuali, in quanto affetti da una specifica sofferenza psichica, risulterebbero portatori di una forma di patologia.

Anche per quanto riguarda il travestitismo, un tempo catalogato all’interno delle cosiddette parafilie (ridefinizione della diagnosi di “perversioni sessuali”), il DSM V introduce un importante cambiamento, assonante rispetto a quello relativo alla disforia di genere. Ad essere considerato patologico non è più il fenomeno in sé stesso (l’assumere occasionalmente, per lo più durante l’atto sessuale, sembianze femminili), ma il grado di disagio e di compromissione del comportamento sociale che tale fenomeno può provocare in taluni individui.

In sintesi: se assumiamo che patologia significa disagio e sofferenza, l’unica manifestazione tra quelle sopra descritte che può essere considerata psicopatologica è la disforia di genere.

Come si cura la disforia di genere?

E’ assodato che l‘identità di genere non può essere cambiata attraverso un trattamento psicoterapeutico. Essa, infatti, assieme all’orientamento sessuale, è una struttura psichica troppo incardinata all’interno del sé, troppo embricata nel nucleo centrale della soggettività per essere modificata. Quindi: siccome la disforia proviene dalla dissonanza tra sesso e genere e il genere non può essere modificato, ad oggi l’unica soluzione disponibile è adattare il corpo alla psiche attraverso la riassegnazione di genere.

La riassegnazione di genere

Il fatto che la riassegnazione di genere sia l’unica via attualmente praticabile per affrontare la disforia, non significa affatto che sia una soluzione ideale, tutt’altro! La persona deve sottoporsi a impegnative cure ormonali per trasformare i caratteri sessuali secondari – farmaci da cui rimarrà dipendente tutta le vita – e affrontare un’operazione chirurgica molto invasiva, che modificherà per sempre la modalità del suo piacere sessuale.

Inoltre, sebbene nella maggior parte dei casi la riassegnazione riesca a ridurre il sintomo disforico, a volte fino alla sua scomparsa, non è sempre così.

Alcuni individui anche dopo l’operazione possono continuare a riscontrare nel proprio corpo segni de genere odiato – il naso ancora troppo mascolino, la bocca ancora troppo sottile – che cercheranno in tutti i modi di eliminare sottoponendosi ad infinite operazioni di chirurgia estetica. Il tentativo di modificare il proprio corpo nei casi più infausti può esitare in un processo senza fine, che sfigura l’individuo fino a trasformarlo in un’orribile maschera. Per evitare questi ed altri problemi, il percorso della riassegnazione di genere è sempre affiancato da un concomitante percorso di sostegno psicologico.

Transessuali e transgender: cosa può fare la psicologia

Al di là delle difficoltà specifiche che l’individuo può incontrare nella transizione da un genere all’altro, la vita delle persone transessuali e transgender non è affatto semplice.

Confrontati continuamente con il rifiuto, la discriminazione, la violenza psicologica e perfino l’aggressione fisica, per questi individui è difficile trovare vie di realizzazione personale all’interno dell’attuale società. E’ difficile avere un lavoro, affrontare un appuntamento romantico con chi non sa cosa nascondano i propri vestiti, parlare liberamente di sé, sentirsi normali scivolando serenamente nella quotidianità.

Nonostante gli ultimi orientamenti della comunità scientifica, la nostra società continua ad essere improntata da un ordine rigorosamente binario: o uomo o donna – e per uomo o donna sono intesi soltanto soggetti “naturalmente” maschili o femminili.

E’ difficile dire quanto tale contesto influisca sul fenomeno della disforia, se in una società più consapevole e aperta alla variabilità delle espressioni umane ci sarebbero più transgender e meno transessuali – cioè meno persone che sentono come necessaria la corrispondenza di sesso e genere – oppure se transessualismo e transgenderismo sono fenomeni distinti. Certo è che la pressione sociale è così forte che soltanto chi ha concluso la riassegnazione di genere può candidarsi come genitore di figli adottivi: diritto in Italia precluso sia agli omosessuali che ai transgender. In ogni caso, neanche l’operazione chirurgica risolve del tutto il problema del rifiuto sociale.

Le difficoltà dopo la riassegnazione di genere

Terminata la riassegnazione di genere, la persona rientra in società con un corpo nuovo e con una nuova identità, attestata anche dal cambiamento di nome sui documenti di identità personale. Inizia per certi aspetti una nuova vita, irta di nuove difficoltà.

Immaginate cosa può provare una persona che lasci il suo giro di amici, conoscenti e colleghi come Paola e dopo un a lunga pausa vi rientri come Paolo; quali possono essere le reazioni di familiari e parenti; oppure la paura che, approfondendo una relazione romantica, ad un certo punto si debba svelare che essere maschio o femmina è stata una dura conquista e non un dono di natura. Provate a pensare quanto debba essere difficile e doloroso essere additati come uomo o donna posticci, come finzioni, quasi come truffatori.

Il sostegno psicologico a omosessuali, transessuali, transgender

Come già chiarito, tali manifestazioni non rappresentano di per sé forme psicopatologiche e quindi non richiedono alcun intervento di psicoterapia.

Ciò nonostante, dal momento che l’attuale contesto può ostacolarne pesantemente la vita affettiva e lavorativa di queste persone, un intervento di sostegno psicologico può essere uno strumento molto utile per aiutare l’individuo a farsi strada tra le varie difficoltà trovando una propria via di realizzazione personale.

Obiettivi specifici del sostegno psicologico

1) Aiutare i soggetti in età evolutiva a scoprire/strutturare il proprio orientamento sessuale e a chiarire la propria configurazione di genere

Se per alcuni individui orientamento e genere si sviluppano in una direzione o nell’altra in modo piuttosto chiaro, per altri non è così. Ci sono, ad esempio, ragazzi omosessuali che all’inizio si definiscono bisessuali, adolescenti che a causa di una relazione omosessuale non sanno più come definirsi, futuri transessuali che in un primo momento credono di essere omosessuali, oppure ragazzi incerti, che non riescono a capire bene chi sono e da chi sono attratti.

Un ciclo di colloqui con uno psicologo esperto in queste tematiche può essere di grande aiuto a questi ragazzi, sollevandoli da inutili angosce e rendendo loro meno impervio il processo di individuazione proprio all’età .

2) Aiutare i familiari a capire cosa sta succedendo ai loro ragazzi

Nel lavoro con le famiglie, è importante dare informazioni corrette per evitare fraintendimenti, conflitti e approcci educativi scorretti, come l’illusione di poter cambiare il genere o l’orientamento attraverso la persuasione o, peggio, la colpevolizzazione.

Un percorso psicologico potrà aiutare i genitori a ridefinire l’immagine mentale del figlio e alcune aspettative sul suo futuro, sostenendo la loro capacità di poterlo vedere in modo non pregiudiziale, quindi senza inutile angoscia.

3) Sostenere ogni soggetto omo o trans nel proprio percorso di individuazione prima e di realizzazione personale poi, aiutandolo a portare avanti i propri obiettivi in un contesto per molti aspetti avverso.