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Cosa si intende per difficoltà nelle relazioni affettive? Esiste un modo sano di relazionarsi emotivamente all’altro? Ci sono evidenze scientifiche che tratteggiano una patologia di dipendenza affettiva? Come fare a capire se si è incappati in un rapporto malsano?

Ecco alcune delle tante domande che ci vengono poste nell’intimità dei nostri studi. Nei capoversi che seguono cercheremo di dare risposte il più esaurienti possibili, per quanto il tema lo consenta.

Definizione

Per relazioni affettive si intendono quei rapporti che suscitano nel soggetto intensi sentimenti, passioni ed emozioni (sia negative, quali rabbia e tristezza, sia positive, quali felicità e serenità). Le relazioni affettive, contrariamente a quanto di solito si crede, non si limitano ai rapporti sentimentali e di coppia. Ogni incontro sufficientemente attivante in termini di emotività è da considerarsi una relazione affettiva.

Affetti, passioni emozioni

Mentre gli affetti esprimono la qualità emotiva della relazione con l’altro, le passioni hanno un carattere imperioso, che domina completamente il soggetto. Le emozioni sono vissuti attuali, gli affetti, al contrario, sono sentimenti duraturi nel tempo.

Come ben sapete, le relazioni affettive devono essere al centro della vita di qualsiasi essere umano perché, tramite esse, è possibile giungere a percepire e a comprendere gran parte di noi stessi. Senza l’altro, infatti, rischieremmo di perdere la nostra umanità.

Difficoltà nelle relazioni affettive

Qual è la prima relazione affettiva che l’uomo si trova ad avere? Senza alcun dubbio quella con i propri genitori. Vi sono, in campo psicologico, numerosissimi studi che ne tratteggiano in modo dettagliato i contorni.

Uno dei maggiori teorici è stato, senza dubbio, lo psicoanalista John Bowlby che, con la sua famosissima teoria dell’attaccamento, ci ha aiutato a comprendere meglio le difficoltà nelle relazioni affettive degli adulti a partire dal rapporto dei bambini con i propri genitori, in particolare con la figura materna. Quest’ultima, infatti, nella nostra società risulta cruciale nei primi anni di sviluppo dell’individuo.

Teoria dell’attaccamento 

John Bowlby si è soffermato a studiare il tipo di legame che i bambini piccoli stabiliscono con i loro genitori, a cui ha dato il nome di attaccamento.

Si tratta di un rapporto di totale dipendenza, osservabile non soltanto nell’essere umano ma in tutto il mondo dei mammiferi, e anche in molti uccelli: insomma, in tutte quelle creature che, durante le prime fasi di vita, hanno bisogno delle cure costanti del genitore per garantire la propria sopravvivenza. 

Il legame di attaccamento e i potenti sentimenti che esso suscita hanno una base etologica prima che psicologica. La teoria di Bowlby, infatti, ha come presupposto le ricerche dell’etologo Konrad Lorenz, famoso per la scoperta del fenomeno dell’imprinting nelle anatre. I richiami allarmati e le manifestazioni d’ansia del piccolo quando il genitore è assente si fondano sulla consapevolezza istintiva che, senza la protezione e le cure di quest’ultimo, la propria sopravvivenza sarebbe impossibile. 

Attaccamento sicuro e insicuro

A partire da queste riflessioni, Bowlby distinse due modalità principali di attaccamento:

  • Attaccamento sicuro: si genera quando il bambino si sente sicuro, protetto, amato;
  • Attaccamento insicuro: si realizza quando, nel rapporto con la figura di attaccamento, prevalgono ansia, instabilità, eccessiva dipendenza o paura dell’abbandono.

Il test denominato Strange situation 

Attraverso una procedura ideata negli anni ’70, la psicologa canadese Mary Ainsworth ha osservato le reazioni di numerosi bambini in una situazione standard: i piccoli venivano separati dai genitori e lasciati soli in una stanza, nella quale poco dopo sopraggiungeva un estraneo. Oltre ad osservare le reazioni dei bambini alla separazione, veniva registrato anche il comportamento dei genitori una volta ricongiunti con i propri figli.

I 4 stili di attaccamento

Ciò ha permesso di distinguere quattro stili diversi, presenti già nei bambini di un anno:

  1. attaccamento sicuro: fondato sulla fiducia nella disponibilità e nell’appoggio dell’adulto. Separati dalla madre, i bambini dimostrano un iniziale sconforto, ma poi si tranquillizzano e iniziano ad esplorare l’ambiente. Al ritorno della madre, la accolgono con gioia e poi riprendono i loro giochi.
  2. attaccamento ansioso-ambivalente: caratterizzato da ansia, insicurezza, eccessivo bisogno. In assenza della madre, i bambini piangono inconsolabili, non esplorano l’ambiente, non giocano; quando la madre torna, anziché lasciarsi consolare da lei, le dimostrano rabbia e aggressività. L’attaccamento ansioso di solito è quello stabilito con genitori che cercano il contatto secondo i propri bisogni e non secondo quelli del bambino;
  3. attaccamento ansioso-evitante: si manifesta come apparente indifferenza verso la presenza  o meno del genitore. Separati dalla madre, i bambini non dimostrano sconforto, anzi esibiscono un eccesso di autonomia e si concentrano sul gioco; al suo ritorno, la accolgono con freddezza. L’attaccamento evitante è il rapporto che il bambino stabilisce con una madre completamente insensibile ai suoi segnali, che scoraggia e rifiuta ogni richiesta di contatto fisico ed emotivo;
  4. attaccamento disorganizzato o disorientato: questo è l’unico tipo di legame francamente patologico, che si esprime in modalità comportamentali eclatanti e contraddittorie. Si riscontra in bambini maltrattati fisicamente e/o trascurati.

La ricerca sull’attaccamento ha dimostrato che già nelle primissime interazioni dell’individuo si hanno i prodromi del futuro comportamento relazionale.

Murray Bowen: indipendenza e fusionalità

La qualità del legame con il proprio genitore è una premessa indispensabile per comprendere lo stile relazionale dell’individuo adulto ma non è, ovviamente, l’unico aspetto da prendere in considerazione.

Per esempio è importante comprendere come ogni persona riesca a differenziarsi dal proprio nucleo familiare. Uno dei maggiori teorici in tal senso è stato Murray Bowen.

Secondo l’autore:

  • quando l’intensità emotiva nel rapporto familiare è eccessivamente elevata, i singoli componenti fanno fatica a conquistare e mantenere una propria identità autonoma. L’indifferenziazione del nucleo familiare può radicare nei figli la tendenza a stabilire relazioni simbiotiche e, nel corso del tempo, può favorire la comparsa di gravi patologie ;
  • in casi meno estremi, ma comunque caratterizzati da alti livelli di fusionalità, incontreremo persone completamente assorbite nel mondo emotivo ed estremamente dipendenti dai sentimenti degli altri;
  • al polo opposto si trovano invece individui con il massimo grado di differenziazione del sé, che possono raggiungere i più alti livelli di funzionamento umano.

La maggior parte delle persone si colloca a livelli intermedi della scala di differenziazione del sé.

Quando le relazioni affettive diventano patologiche

In un individuo adulto, con un sufficiente grado di maturazione, quando possiamo parlare di relazioni affettive sane e quando disfunzionali?

Un rapporto può essere definito disturbato quando compaiono:

  • difficoltà a gestire o sopportare la separazione;

  • difficoltà nel governo delle emozioni;

  • produzione di sintomi psicosomatici (nausea o mal di stomaco o disturbi del sonno, per esempio);

  • attivazione di sentimenti quali ansia, rabbia e aggressività; oppure, di contro, apatia di fronte a situazioni potenzialmente dannose per se stessi, per l’altro o per la coppia.

La dipendenza affettiva

La più studiata tra le relazioni affettive patologiche è senz’altro la dipendenza affettiva, che nel DSM – il manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali più utilizzato al mondo – corrisponde a grandi linee al Disturbo Dipendente di Personalità.

La dipendenza affettiva prevede:

  • la difficoltà a prendere decisioni (che vengono spesso demandate agli altri),

  • un eccesso di bisogno di protezione (con associata spesso la sensazione di sentirsi vulnerabili)

  • il bisogno disperato di esistere attraverso una relazione (perlopiù di tipo sentimentale).

  • la paura irrealistica di essere abbandonati (o di rimanere da soli).

Anaffettività

All’opposto della dipendenza affettiva si colloca l’anaffettività, ovvero l’incapacità di provare o esprimere affetti, che alcuni hanno definito in modo suggestivo anoressia sentimentale. Essa però è un sintomo e non una patologia. Solo in casi estremi si incappa in quella che viene definita filofobia, ovvero la paura forsennata – che può provocare attacchi depressivi o di panico – di essere feriti dall’altro, tanto da doverlo a tutti i costi tenere lontano. La difficoltà ad esprimere emozioni, che si manifesta come freddezza emotiva e ritiro sociale, caratterizza in particolare la Personalità schizoide.

Sostegno psicologico e psicoterapia

È indispensabile, per chi ha rapporti disfunzionali, poter lavorare su se stesso e nella coppia. Nei casi in cui le difficoltà affettive siano temporanee e legate ad un particolare momento della vita, è indicato un percorso di sostegno psicologico.

Se, invece, si tratta di un problema ricorrente e profondamente radicato nella persona, sarà necessario un percorso di psicoterapia.

La psicoterapia psicoanalitica è in grado di aiutare il soggetto a riconoscere  i propri pattern di funzionamento relazionale, riconducendoli alle difficoltà nel rapporto con i genitori e con tutte le persone significative del passato. Il percorso psicoterapeutico potrà offrire al soggetto nuove possibilità relazionali che, una volta messe in atto, potranno portare grandi benefici sia nella sua vita personale che relazionale.