Per personalità dipendenti si intendono persone caratterizzate da uno stile relazionale centrato sul mantenimento del legame. Nel caso in cui la spiccata propensione a preservare i rapporti significativi diventi così dominante che essi vengono conservati anche al prezzo dell’autosacrificio e dell’autoannullamento, si parla di un disturbo dipendente di personalità

Introduzione 

Nella nostra cultura, tutta centrata sull’illusione di un’autosufficienza dell’Io, la dipendenza è demonizzata come la peggiore delle debolezze umane. Nella folle pretesa che il soggetto trovi “dentro sé stesso” spiegazioni, soluzioni e formule che diano la misura a tutte le cose, la dipendenza da un altro, il desiderio e il bisogno della sua presenza, sono visti null’altro che come umiliante sottomissione (vedi Personalità narcisistica).

La normale dipendenza nelle relazioni

Il desiderio

Eppure desiderare significa dipendere da chi o da ciò che si desidera: amare, investire, creare vuol dire essere rapiti-da, immersi-in, trasportati verso un altro da sé che ci prende con tutta la sua forza, che ci seduce, che ha – almeno temporaneamente – la padronanza su di noi. L’oggetto del desiderio – persona, opera da compiere o oggetto da creare – ci signoreggia. Desiderare significa essere aperti all’altro, percepire la propria soggettività non come un’immota coincidenza con sé stessi, ma come una traiettoria proiettata fuori di sé.

Il legame d’amore: dipendenza e autonomia

Chiunque si sia innamorato ha sperimentato la sensazione di perdersi nell’altro – si dice di solito perdersi “negli occhi dell’altro” – e ha fatto esperienza del ritorno in sé, del rientro nei propri confini. L’amore implica entrambi i movimenti: uscire e rientrare in sé, avvicinarsi fino alla fusione e poi distanziarsi di nuovo, percepirsi come dipendenti e poi di nuovo come soggetti autonomi, padroni dei propri movimenti e delle proprie scelte.

Se dall’innamoramento nasce un legame d’amore, quest’ultimo conserva entrambi i movimenti: l’essere-sé e l’essere proiettato verso l’altro, l’essere per conto proprio e l’essere insieme all’altro, l’essere in equilibrio con sé stessi e il bisogno/desiderio dell’altro. Autonomia e dipendenza sono polarità compresenti in ogni legame.

Gli psicologi per formazione, e le persone normali per esperienza, sanno che ogni relazione significativa implica una certa quota di dipendenza: essa indica il valore attribuito all’altro, l’importanza cruciale che esso ha per noi, esprime un vincolo di presenza e di cura che ci spinge all’impegno per il mantenimento di un legame che sentiamo prezioso.

Quando la dipendenza diventa patologica

Ma quando è, allora, che la dipendenza diventa eccessiva? Quando inizia a rappresentare un problema?

La dipendenza diventa un problema nel momento in cui l’essere sé stessi e il legame con l’altro sono vissuti in una dimensione di ricatto: o me o lui. La dipendenza patologica è, sulla base di tale vissuto, la scelta che privilegia l’altro annullando il sé. Chi intraprende la via della dipendenza patologica rinuncia ad ogni realizzazione di sé pur di mantenere la relazione. In questo senso, non è legato (ovvero normalmente dipendente) ma asservito all’alto.

Fisionomia della personalità dipendente

Le personalità dipendenti, soprattutto se sono donne, possono essere socialmente molto adattate e, finché la loro vita relazionale è buona, possono vivere serene e soddisfatte. Tuttavia, siccome la loro identità è priva di consistenza autonoma e dipende essenzialmente dal contesto affettivo, se quest’ultimo entra in crisi, ad esempio attraverso una separazione, anche l’identità traballa.

La dipendenza affettiva non sempre è diretta verso il proprio partner. Alcuni soggetti rimangono dipendenti dai propri genitori senza riuscire a costruirsi una vita autonoma; restano a fianco della madre e del padre prendendosene cura finché essi sono in vita. Con la loro perdita, l’equilibrio psichico tracolla. Altri sono dipendenti dai propri figli, e la crisi subentra con la loro fuoriuscita da casa.

L’identità

Le personalità dipendenti tendono a definire sé stesse in funzione delle loro relazioni: sono moglie-di, figlio-di, madre-di, impiegato-presso. Tutta la loro vita è finalizzata al mantenimento di relazioni in cui si prendono cura degli altri in un ruolo sottomesso. Di solito il legame di dipendenza è verso un partner, o verso i genitori o i figli, ma può estendersi anche a contesti relazionali extra-familiari come il luogo di lavoro: insomma, a qualsiasi ambito che possa definire la loro identità.

Le relazioni

Per paura di perdere la persona (o le persone) da cui dipendono, le personalità dipendenti sono molto attente a non fornire alcuna ragione di lamentela, sono affettuose, servizievoli, compiacenti.

Sopportano difficilmente la solitudine, non riescono a tollerare la separazione o la semplice lontananza da coloro che considerano dei riferimenti. Dal momento che mantenere il legame per loro è una necessità vitale, hanno una visione idealizzata dell’altro e sacrificherebbero tutto pur di non perderlo. Sono persone molto sensibili al rifiuto e all’abbandono ed eccessivamente ansiose di fronte alle critiche.

Sono così abituate ad accudire e compiacere l’altro che possono percepirne i bisogni con incredibile arguzia, anticipando la loro soddisfazione. Per essere sicure di non essere abbandonate, fanno di tutto per essere speciali all’occhio della persona amata.

La percezione di sé e degli altri

Queste personalità percepiscono sé stesse come fragili e bisognose, mentre vedono gli altri come potenti, capaci di proteggerle e di far provare loro il piacere della sicurezza.

Chi è in relazione con questo tipo di soggetti tende a percepirli in modo positivo, a proteggerli e a prendersi cura di loro. Almeno in un primo momento. Poi, di solito, subentra la sensazione di portare un peso, con sentimenti di irritazione e di oppressione, fino al bisogno di fare marcia indietro diminuendo il coinvolgimento relazionale. L’allontanamento, subito intercettato dal radar della persona dipendente, produce in essa una reazione ansiosa che la porta ad aumentare le sue premure e la sua presenza, soffocando ulteriormente l’altro e spingendolo sempre di più ad allontanarsi.

La crisi

Di solito le personalità dipendenti mantengono un buon equilibrio fin quando qualcosa nella loro relazione fondamentale non funziona, oppure quando subiscono un lutto o una separazione. L’esordio del disturbo può essere provocato anche dal pensionamento e dalla concomitante perdita di riferimenti relazionali.

Dipendenza affettiva e violenza nella coppia 

Dal momento che tali personalità di solito non riescono ad interrompere relazioni abusanti, in molti casi la dinamica della dipendenza esita in rapporti di coppia dominati dalla violenza psicologica fino al vero e proprio maltrattamento fisico.

Variante ostile della personalità dipendente (personalità passivo-aggressive)

In alcuni casi la dipendenza assume modalità opposte all’accudimento e alla compiacenza, colorandosi di vera e propria l’ostilità. L’aggressività qui rappresenta un tentativo di silente ribellione verso un legame avvertito come invischiante, ma dal quale il soggetto non riesce a liberarsi. Lo schema relazionale diventa allora quello di rimanere all’interno della relazione ma inquinandola con astio e con tanti piccoli atti di sabotaggio.

Variante controdipendente

Altri soggetti, pur essendo caratterizzati da forti bisogni di dipendenza inconscia, se ne difendono assumendo un atteggiamento opposto, di pseudo-autonomia. Ciò li spinge a dimostrare continuamente di essere autonomi, di non aver bisogno di nessuno e a disapprovare ogni espressione di vulnerabilità e dipendenza negli altri.

Psicodinamica del disturbo dipendente

Come per tutti i disturbi di personalità, la radice psicodinamica del disturbo dipendente va ricercata nelle relazioni con le figure di accudimento dell’infanzia.

L’incapacità di lasciar crescere i propri figli

Il bambino è totalmente dipendente dagli adulti che si prendono cura di lui, avverte che senza di loro non sopravvivrebbe e quindi fa di tutto per tenerli vicini e ottenere le loro cure. Man mano che il cucciolo cresce, impara a muoversi autonomamente. Le prime esplorazioni avvengono sotto l’occhio vigile del genitore, che lascia il piccolo muoversi in libertà ma è pronto ad intervenire alla prima avvisaglia di pericolo. Con la crescita e l’aumento dell’autonomia, l’individuo imparerà a destreggiarsi sempre più da solo, senza più bisogno di sostegno da parte dell’adulto.

Purtroppo, però, non tutti i genitori sono in grado di lasciar crescere i loro figli, accettando che arrivi quel momento in cui non avranno più bisogno di loro.

Ciò può avvenire per i motivi più diversi: il genitore può essere a sua volta una personalità dipendente e non riuscire perciò a svincolarsi dal figlio; oppure la presenza del bambino può essere indispensabile a mantenere in equilibrio il sistema familiare (per esempio, per non lasciare da sola la coppia genitoriale). In questo caso, il messaggio implicito che viene inviato al piccolo è che diventare autonomo e staccarsi dai genitori sarebbe un tradimento.

La mancanza di autonomia

Quale che sia il contesto di provenienza, i soggetti dipendenti non hanno avuto la possibilità di sperimentare il piacere dell’autonomia, non hanno mai provato il brivido di affrontare i rischi e le avventure delle esplorazioni solitarie, ma si sono sempre mantenuti nell’orizzonte protettivo dello sguardo del genitore. In questo modo, non avendo mai testato le proprie forze acquisendo man mano la capacità (e il piacere!) di cavarsela da soli, sono abituati a pensare che senza una persona forte al loro fianco non saprebbero cosa fare.

Come si cura il disturbo dipendente di personalità

Come tutti i disturbi di personalità, non esiste alcuna cura farmacologica. Per migliorare la propria situazione, il soggetto deve sviluppare quelle funzioni mentali vitali che non è riuscito a consolidare nel suo tragitto di vita e, per ottenere questo, l’unico trattamento indicato è una psicoterapia.

La psicoterapia psicoanalitica

I soggetti dipendenti tendono a ricercare aiuto quando il loro sistema di relazioni entra in crisi. Siccome in genere ciò si verifica quando la persona è già matura e ha un sé ben strutturato, il trattamento può richiedere tempi piuttosto lunghi. Oltre che dall’età, la durata e l’esito del percorso psicoterapico dipenderanno da altri fattori quali la motivazione al cambiamento, la pervasività del disturbo e la situazione di vita della persona.

Casi lievi

Per individui relativamente giovani che, pur privi di una piena indipendenza, svolgono o hanno svolto un’attività lavorativa, una psicoterapia ad orientamento analitico potrà aiutarli a conquistare un maggior senso di sicurezza e di autostima e a costruire relazioni più sane e soddisfacenti, ovvero più reciproche e non basate esclusivamente sulla dipendenza dall’altro.

Casi gravi

Nei casi più gravi, quando il soggetto è in età avanzata (ad esempio, se è entrato in crisi dopo la morte dei propri genitori), non ha mai lavorato in modo autonomo, non è riuscito a sviluppare alcuna area di interesse personale e la sua rete relazionale è molto ridotta o inesistente, gli obiettivi del percorso saranno necessariamente limitati. Attraverso il sostegno psicologico e interventi di tipo psicoeducativo, la persona sarà aiutata a cercare una propria stabilità costruendo attorno a sé un contesto di vita che fornisca il massimo di sicurezza possibile, al fine di garantire il mantenimento di un sufficiente equilibrio emotivo.

Qualora il disturbo di personalità sia connesso ad una condizione di violenza domestica ancora in atto, è indispensabile che l’intervento psicoterapeutico sia affiancato da una presa in carico presso un Centro anti-violenza.

Casi intermedi

In tutti i casi intermedi, sarà l’analisi delle risorse del soggetto e della situazione attuale di vita a guidare terapeuta e paziente nella scelta degli obiettivi da raggiungere. Sicuramente, ove l’età lo consenta, il conseguimento di un’autonomia lavorativa ed economica è un obiettivo imprescindibile. Allo stesso modo, è di fondamentale importanza che il paziente sia motivato a pagare la psicoterapia con i guadagni del proprio lavoro.

I soggetti dipendenti possono essere persone con una grande sensibilità interpersonale e con una spiccata attitudine alla cura. In genere nella vita hanno sviluppato moltissime competenze e abilità sia relazionali che pratiche nell’assistenza delle persone fragili. Spesso, però, la percezione negativa che hanno di sé stesse e delle proprie capacità impedisce loro di riconoscere e valorizzare tali risorse, utilizzandole anche in ambito lavorativo.