Hai domande? (FAQ)

Chi è lo Psicologo?

Lo psicologo è un professionista che sostiene le persone nei momenti critici e le aiuta ad affrontare i compiti evolutivi specifici della fase di vita che stanno attraversando. Infatti, è importante sapere che non solo l’adolescenza, ma tutte le fasi del ciclo di vita impegnano l’individuo con nuove sfide, cambiamenti e adattamenti necessari che possono essere compiuti in modo più o meno soddisfacente: genitorialità, lavoro, separazioni, pensionamento, lutti e perdite ne sono alcuni esempi. Il ruolo dello psicologo è quello di promuovere la salute e il benessere degli individui accompagnandoli nel difficile percorso della vita. Oltre a ciò, lo Psicologo è abilitato a formulare diagnosi, utilizzando sia i tradizionali colloqui clinici che somministrando specifici test.
Importante: Lo Psicologo non può fare psicoterapie, né tanto meno somministrare farmaci!
Anche se una rappresentazione distorta, depositata ormai nell’immaginario collettivo, identifica lo psicologo con lo psicoterapeuta e lo colloca mentalmente nello studio professionale in colloquio con un paziente, in realtà lo scenario adeguato ad accogliere la figura dello psicologo è molto più ampio che quello racchiuso tra quattro pareti: dovremmo immaginarlo piuttosto nelle scuole, nei luoghi dove si pratica sport, nei centri per gli anziani, sui luoghi di lavoro e in 1000 altri posti ancora… e a volte, anche nel suo studio…


Come si diventa Psicologo?

Per diventare psicologo non è sufficiente la laurea specialistica in Psicologia, la quale conferisce soltanto il titolo di “Dottore in scienze psicologiche”. Per esercitare la professione di psicologo, dopo il conseguimento della laurea quinquennale il candidato deve ancora svolgere un tirocinio della durata di un anno e superare un Esame di Stato. Solo a questo punto può iscriversi all’Ordine degli Psicologi della sua regione ed essere inserito nel relativo albo professionale (http://www.ordinepsicologi.piemonte.it/ordine/albo).


A quali principi etici si attiene uno psicologo?

I principi etici che regolano il comportamento dello psicologo sono raccolti nel Codice Deontologico (http://www.ordinepsicologi.piemonte.it/normativa/codice-deontologico)

Cos’è la consultazione psicologica?
La consultazione psicologica si configura come un breve ciclo di colloqui (in genere sono sufficienti 5 incontri). L’obiettivo principale è aiutare la persona ad avere maggior chiarezza su una o più problematiche in cui si sente coinvolta, che non riesce a mettere a fuoco e che perciò vive come sovrastanti e minacciose. L’operazione di chiarificazione interna (quali emozioni si agitano dentro di me) e di focalizzazione del problema (cosa sta capitando a me e a chi mi è attorno) tende ad incrementare il senso di padronanza ed efficacia personale e a contrastare vissuti di confusione e impotenza. Inoltre, il lavoro di visualizzazione ed elaborazione può aprire l’accesso a nuovi vertici osservativi e con ciò favorire la messa a punto di strategie d’azione più adattive ed efficaci.
In alcuni casi, soprattutto quando il malessere è lieve e temporaneo, sopravvenuto in seguito ad eventi stressanti o in fasi particolarmente delicate del ciclo di vita, la semplice consultazione psicologica è sufficiente a risolvere le difficoltà incontrate e a ristabilire un buon equilibrio emotivo.
In altri casi, invece, il lavoro di chiarificazione sulle proprie difficoltà potrà motivare il soggetto a richiedere un intervento di sostegno psicologico o a intraprendere una psicoterapia.

Cos’è il sostegno psicologico?
Il sostegno psicologico è un tipo di intervento rivolto a persone che vivono un momento di disagio o crisi personale in connessione agli abituali conflitti e alle tensioni che accompagnano ciascuno di noi lungo tutto il ciclo di vita: 
— difficoltà legate alla propria crescita o a quella dei propri figli;
— disagio di fronte alle continue trasformazioni nei rapporti familiari e lavorativi;
— affaticamento per la molteplicità di ruoli che siamo chiamati a ricoprire;
— sofferenza in caso di lutto, separazione, malattia propria o di un familiare;
— ansia e disperazione legate a situazioni di disoccupazione, precarietà o stress lavorativo, ecc.
Il sostegno psicologico ha lo scopo di affiancare il soggetto durante le fasi critiche, aiutandolo a contenere ed elaborare le emozioni disturbanti, a visualizzare e ridefinire meglio i ruoli in cui è impegnato, a riflettere su eventuali conflitti relazionali o tensioni interne, ad affrontare in maniera più adattiva i compiti evolutivi della propria fase di vita.

Chi è lo psicoterapeuta?

A differenza dello Psicologo, che promuove il benessere degli individui e li affianca nelle normali criticità che la vita comporta, lo psicoterapeuta è un professionista addestrato ad intervenire nel caso in cui si manifestino forme di disagio continuative e tali da compromettere una o più aree di attività del soggetto (ad es. relazionale, lavorativa, ecc.).

Chi è lo psichiatra?

Lo psichiatra è un medico laureato in medicina e chirurgia, che ha poi conseguito la specializzazione in psichiatria. La sua formazione medica lo abilita alla prescrizione di farmaci. Pur non trascurando l’importanza del rapporto medico-paziente e gli aspetti psicologici delle problematiche riscontrate, l’intervento psichiatrico oggi di solito è centrato sul trattamento farmacologico dei sintomi manifesti.


Come si diventa psicoterapeuta?

Per diventare psicoterapeuta bisogna essere già o uno Psicologo o un Medico-chirurgo regolarmente iscritto al relativo albo professionale. L’abilitazione all’esercizio della psicoterapia si ottiene conseguendo una specializzazione quadriennale presso una delle Scuole di Specializzazione in Psicoterapia riconosciute dal MIUR. Ci sono perciò due tipi di psicoterapeuti, gli uni provenienti da medicina, gli altri (la maggior parte) provenienti da Psicologia; questi ultimi sono denominati Psicologi-Psicoterapeuti. A differenza dello Psicologo, che è abilitato soltanto alla diagnosi o ad interventi di sostegno, lo Psicologo-Psicoterapeuta aggiunge a ciò la competenza e l’abilitazione all’esercizio della psicoterapia. Non essendo laureato in medicina, a differenza degli Psichiatri o dei Medici-chirurghi specializzati in psicoterapia, non può prescrivere farmaci.



Cos’è una psicoterapia?

Nonostante l’assonanza con il trattamento medico, la “terapia della psiche” è un metodo di cura poco paragonabile con quello utilizzato dalla medicina. Per la psicologia, infatti, il concetto di “salute” è qualcosa di molto diverso dall’assenza di malattia: ha a che fare con la realizzazione di sé nelle relazioni umane, con la creatività, con la capacità di provare e condividere affetti ed esperienze, con l’estrinsecazione e l’ampliamento delle proprie potenzialità di sviluppo.
La psicoterapia aiuta gli individui a riconoscere, estendere e attuare al meglio le proprie possibilità di vita nel mondo e con gli altri; aiuta a regolare, ampliare e modulare le emozioni; stimola la mente all’espansione e alla crescita, in un confronto continuo con il limite e con la normale sofferenza dell’esistenza umana.



Esiste un solo tipo di psicoterapia?

Esistono diversi tipi di psicoterapie: alcune si concentrano nell’individuare e modificare gli schemi di comportamento disfunzionali dell’individuo, nell’attesa che ciò comporti anche una riconfigurazione dei suoi schemi cognitivi ed emotivi (Terapie comportamentali); altre si muovono nella direzione opposta, cioè partono dall’analisi degli schemi cognitivi o emotivi problematici (per es. dalle “false credenze”) per incentivare una trasformazione degli schemi comportamentali del soggetto (Terapie cognitive); oggi i due filoni risultano ampiamente intrecciati e la maggior parte delle psicoterapie di questo tipo si muove in entrambe le direzioni: dal comportamento alla cognizione e dalla cognizione al comportamento (Terapie cognitivo-comportamentali).
Un altro tipo di trattamento è rappresentato dalla Psicoterapia sistemico-relazionale, che inquadra l’individuo all’interno del sistema familiare di appartenenza e analizza le sue difficoltà non tanto come effetto di problemi insiti in lui, quanto come segnali di un “ingorgo” generatosi all’interno dell’intero sistema di cui è membro. La Psicoterapia  psicoanalitica, invece, prevede l’esplorazione approfondita di tutti quegli aspetti del Sè di cui il paziente non è consapevole, e che in parte si manifestano anche all’interno della relazione con il terapeuta.

Oltre a questi, più famosi indirizzi terapeutici, esistono altre forme di psicoterapia con tradizioni altrettanto radicate e scientificamente strutturate anche se meno conosciute, quali, per citare solo le più note, l’Analisi transazionale, che si concentra sui ruoli e sulla comunicazione relazionale o la Terapia della Gestalt, che mette a fuoco i modi in cui l’individuo organizza percettivamente l’ambiente che lo circonda e vi costruisce i propri significati.
Un accenno merita senz’altro la Gruppoanalisi, che ha ad oggetto non i singoli ma i “gruppi”, studiati e trattati come organismi psichici con dinamiche analoghe a quelle individuali.
Gli orientamenti teorici rappresentati all’interno del nostro gruppo di lavoro sono la Psicoterapia Psicoanalitica e la Psicoterapia Sistemico-relazionale.



Cos’è la Psicoterapia Psicoanalitica?

Più che mai nel caso della Psicoterapia Psicoanalitica è il caso di utilizzare la forma plurale, visto che si tratta non di una scuola, ma di una “famiglia” di approcci diversi tra loro, tutti nati entro la lunga tradizione della Psicoanalisi.
Fondata nel XIX secolo da Freud, la Psicoanalisi ha percorso tutto il XX secolo fino ai nostri giorni diramandosi, già dai suoi primi decenni, in diverse sottocorrenti. Esse sorsero in seguito alla defezione di alcuni membri particolarmente creativi ed intraprendenti per i quali, con il tempo, le maglie della teoria freudiana e le richieste di fedeltà della Società psicoanalitica erano risultate troppo strette. Jung e Adler si distaccarono dalla Società mentre Freud era ancora in vita, l’uno seguendo i suoi interessi interculturali che lo portarono a formulare il concetto di un Inconscio collettivo, l’altro approfondendo il significato dell’autoaffermazione dell’Io e della vita relazionale. Le loro teorie furono considerate come delle vere e proprie eresie. Altri celebri “scomunicati” dalla Società psicoanalitica sono Ferenczi, psicoanalista ungherese coevo di Freud,  oggi molto riletto e apprezzato per le sue riflessioni sulla relazione paziente-terapeuta e, in tempi successivi alla morte di Freud, Lacan, psicoanalista-filosofo francese che approfondì in modo particolare il rapporto tra inconscio e linguaggio e Bowlby, fondatore della teoria dell’attaccamento.
Nell’odierna Psicoterapia psicoanalitica resta centrale l’idea che negli individui esista un funzionamento psichico al di fuori della loro consapevolezza, mentre innovativa è la teoria della mente a cui oggi si fa riferimento: all’ “apparato psichico” di freudiana memoria (ideato, in pieno Positivismo, sul modello di una macchina idraulica) si è sostituito il modello di una mente non isolata, ma intrinsecamente “relazionale”, cioè costituita nel suo stesso tessuto neuronale da una complessa trama di schemi emotivi e relazionali, alcuni più vicini, altri più lontani dalla coscienza e dal linguaggio. In quest’ottica, l’individuo e la sua mente iniziano a plasmarsi nella relazione genitore-bambino e continuano a svilupparsi per tutta la vita in mezzo alla relazionalità umana, perpetuando e all’occorrenza modificando i propri schemi di interazione con gli altri. L’inconscio “ancestrale” e “pulsionale” freudiano ha lasciato il posto a un fascio di modalità relazionali, alcune più primordiali e inconsapevoli altre più consce e verbalizzabili, corredate da diverse immagini di sé e degli altri e da svariate tonalità emotive. Compito del lavoro analitico è individuare tutto ciò e metterlo in parole all’interno della relazione paziente-terapeuta, con l’obiettivo di raggiungere una maggiore flessibilità e integrazione negli schemi emotivi e relazionali che strutturano la mente del paziente.


Che differenza c’è tra uno Psicoterapeuta psicoanalitico e uno Psicoanalista?

La domanda è di non facile risposta ed è stata per lungo tempo al centro di accesi dibattiti.
Iniziamo chiarendo che il termine “Psicoterapeuta” corrisponde ad un titolo certificato che abilita all’esercizio professionale e può essere rilasciato solo da una Scuola di psicoterapia riconosciuta dal MIUR. Quello di “Psicoanalista”, al contrario, non è una qualifica ufficiale dal momento che ad oggi lo Stato non riconosce la Psicoanalisi come disciplina. Di norma, il titolo di psicoanalista è conferito da associazioni private, le Società psicoanalitiche, che in questo modo riconoscono al loro iscritto la conclusione positiva del percorso formativo da esse previsto. Di fatto tuttavia, non esistendo una normativa di riferimento, chiunque può liberamente autodefinirsi psicoanalista.
Le Scuole di specializzazione in psicoterapia sono state istituite nel 1989 assieme all’Ordine professionale degli Psicologi (Legge 56/89 Ordinamento della professione di psicologo). Da quel momento in poi solo chi è in possesso del titolo di psicoterapeuta, rilasciato da una Scuola accreditata, è abilitato all’esercizio della psicoterapia. Prima dell’89, invece, la pratica psicoterapica e la stessa psicoanalisi erano saperi non normati da legge, ma coltivati, promossi e diffusi da cultori privati o associazioni e trasmessi da maestro ad allievo com’era in uso per i mestieri. Per lo stesso motivo, l’accesso a tali saperi non era riservato a particolari categorie, come lo è oggi per psicologi e medici-chirurghi.
Ciò non significa, comunque, che gli psicoanalisti di allora valessero meno degli psicoterapeuti certificati di oggi. Anzi, le diverse società psicoanalitiche prevedevano (e prevedono tutt’ora) percorsi formativi molto lunghi e intensi, della durata di circa 10 anni, cioè più del doppio rispetto ai 4 anni previsti da una moderna Scuola di specializzazione. Il problema era piuttosto che, a fianco di professionisti altamente preparati, si accalcava un fitto sottobosco di ciarlatani e sedicenti “analisti” forse illuminati da uno o due libri di Freud, senza possibilità alcuna per l’utenza di distinguere gli uni dagli altri. La confusione nella professione era tale che alla fine il MIUR è dovuto intervenire per mettere un po’ di ordine nel baccano generale. Eravamo nel 1989. A quel punto, però, con l’istituzionalizzazione dei percorsi formativi si poneva anche la questione di cosa fare di tutti coloro che da anni esercitavano già la psicoanalisi o una qualsiasi forma di psicoterapia.
La soluzione trovata fu in perfetto stile italiano: una bella sanatoria generale. Tutti i titolari di partita IVA o i dipendenti pubblici che potevano dimostrare di lavorare come psicoterapeuti potevano fare richiesta di essere ammessi nell’elenco degli psicoterapeuti dell’Ordine dei medici, se erano laureati in medicina, altrimenti a quello del neonato Ordine degli psicologi. Così tra i “vecchi” psicoterapeuti iscritti al nostro Ordine professionale troviamo laureati provenienti dalle più diverse facoltà, per lo più da filosofia o sociologia, ma anche da fisica, ingegneria e chi ne ha più ne metta, con innesti di sapere dai risultati più diversi, dai più interessanti ai più rischiosi, a seconda della buona volontà e della coerenza dei singoli. Questa provenienza disparata non è un fenomeno così strano se si tiene conto che le prime cattedre di Psicologia in Italia sono state istituite soltanto nel 1971, a Padova e a Roma; prima di quella data esistevano solo insegnamenti di materie psicologiche sparsi all’interno di varie facoltà.
Le società di psicoanalisi accolsero la riforma con fastidio e senso di superiorità, e all’inizio cercarono di proseguire come se nulla fosse cambiato, ma alla fine furono costrette a scendere a patti con la realtà. Così molte di loro si fecero accreditare dal MIUR come Scuole di Psicoterapia e quindi idonee a rilasciare il titolo. Il risultato è stato che da quel momento in poi chi voleva essere un “vero psicoanalista” prima frequentava una scuola di psicoterapia e si metteva a posto con la legge, poi proseguiva per altri 4 o 5 anni la formazione nella società psicoanalitica prescelta (freudiana, junghiana ecc.) e otteneva il titolo (non riconosciuto) di psicoanalista.
Oggi la maggior parte degli psicoterapeuti di orientamento analitico non prosegue la sua formazione entro una società psicoanalitica.

Riassumendo: “Psicoterapeuta” è il titolo rilasciato a chi ha concluso un percorso di studi presso un Scuola di psicoterapia accreditata, che abilita all’esercizio della psicoterapia; “Psicoanalista” non è una qualifica riconosciuta dalla Stato ed è conferita  dalle Società psicoanalitiche agli iscritti che abbiano concluso il percorso formativo da esse previsto. Gli psicoterapeuti ad indirizzo analitico di norma si definiscomo “psicoterapeuti” e non psicoanalisti; tra costoro, però, esiste una minoranza che ha deciso di attribuirsi da sé il titolo di psicoanalista, senza infrangere con ciò nessuna norma.

Cos’è la Psicoterapia Sistemico-relazionale?


Quanto dura una psicoterapia?

E’ difficile prevedere la durata di una psicoterapia per l’intervento di molteplici fattori: il tipo di orientamento terapeutico praticato, la tipologia di problema, la motivazione al cambiamento, la disponibilità economica e di tempo, l’esistenza o meno di risorse ambientali (relazioni, lavoro, gruppi d’appartenenza ecc.), l’età, mutamenti o fatti significativi che intervengono nella vita quotidiana ecc.
In generale possiamo stimare che, in media, attraverso una psicoterapia psicoanalitica con una frequenza almeno settimanale, il tempo necessario per raggiungere delle modificazioni durature è di 4 o 5 anni; quando il lavoro è più focale, con obiettivi più circoscritti e concreti, il tempo prevedibile è di circa 2 anni (psicoterapia breve).

Esigenze particolari da parte del paziente o del terapeuta possono suggerire l’opportunità di organizzare la psicoterapia in cicli di colloqui, ripetibili nel tempo e dedicati al raggiungimento di diversi obiettivi. Questa forma, per altro, è quella di consueto utilizzata nel trattamento degli adolescenti.

Come si configurano gli interventi psicologici sulla coppia

La richiesta di aiuto da parte delle coppie è mossa da una sofferenza che non appartiene soltanto al singolo partner, ma coinvolge al tempo stesso “il legame” inteso come un “terzo” in crisi. E’ importante precisare che un intervento sulla coppia per definizione esclude un coinvolgimento diretto da parte dell’intera famiglia, ma è centrato sulla relazione amorosa, i suoi sviluppi, i suoi problemi. Per poter essere intrapreso, esso necessita della partecipazione attiva da parte di entrambi i partner. Quando le coppie chiedono aiuto, di solito sono afflitte da un’incapacità di comunicare avvertita come insanabile, o da un sentimento di sfilacciamento nella relazione a volte sfociato in tradimenti, da difficoltà nella sfera sessuale, da affetti difficili da tollerare come rabbia, gelosia, risentimento o disperazione, oppure da conflitti che appaiono ormai insanabili spesso su temi importanti come l’educazione dei figli.

Come per l’intervento individuale, anche quello sulla coppia inizia di solito con una consultazione. Essa consiste in un ciclo di 5-8 colloqui e ha lo scopo principale di mettere a fuoco le difficoltà esistenti, valutando poi con il terapeuta l’opportunità o meno di affrontarle in un successivo lavoro di sostegno psicologico o di psicoterapia.

Il sostegno psicologico alla coppia è finalizzato ad aiutare i partner a superare i momenti critici della loro vita insieme. I problemi variano a seconda della fase del ciclo di vita in cui la coppia si trova: convivenza appena avviata, nascita del primo bambino o assenza dolorosa di figli, conflitti tra vita lavorativa e vita sentimentale, educazione, crescita e distacco dei figli, pensionamento, lutto ecc. Oppure si tratta di lievi difficoltà nella relazione, come incompleta soddisfazione sessuale, incapacità di comunicare pienamente, sentimenti di leggero risentimento, irritazione o delusione, problemi nel rapportarsi alle famiglie d’origine. Spesso è il normale transito da una fase all’altra della vita di coppia che, non del tutto compreso e affrontato, può aver contribuito a generare il malessere percepito, ad es. il passaggio dall’innamoramento al legame amoroso o i cambiamenti subentrati con la crescita dei figli e l’uscita dal mondo del lavoro.

La psicoterapia di coppia è un intervento indicato quando le difficoltà incontrate non sono direttamente collegate a particolari momenti critici della vita insieme. La psicoterapia di coppia ad indirizzo analitico indaga, in un ambiente accogliente e protetto, i problemi che affliggono partner gravati da problemi radicati ma spesso oscuri, fonte di una sofferenza che non si comprende e che non si sa affrontare.

Il presupposto è che la coppia può essere un’importante occasione per trasformare in senso positivo gli schemi relazionali dei singoli, ma anche un terreno fertile per pericolose collusioni che tendono a riconfermare le peggiori fantasie di fallimento relazionale. Nel primo caso, il legame affettivo offre ai partner l’opportunità di affidare all’altro parti delicate di sé e può aiutare entrambi a risolvere alcuni nodi problematici personali, sanando vecchie ferite e aprendo nuove possibilità relazionali. Nel secondo caso, invece, il tentativo fallisce e il dramma relazionale si ripete attraverso operazioni inconsce in cui ciascun membro cerca di imporre all’altro alcuni ruoli del proprio mondo interno problematico. Il risultato è la ripetizione incessante di copioni distruttivi che riattualizzano aspetti relazionali distorti . Tali dinamiche appaiono spesso come circoli viziosi inspiegabili, che si attivano automaticamente e che nessuno dei due partner riesce ad arrestare, lasciando entrambi attoniti, spaventati e con un profondo senso di smarrimento e frustrazione.

In ogni coppia è presente la speranza inconscia di trovare un’alternativa ai propri schemi disfunzionali e questa possibilità, quando per varie ragioni non riesce a realizzarsi naturalmente, può essere riaperta con l’aiuto di una psicoterapia.
Obiettivo della psicoterapia di coppia è il raggiungimento di una migliore regolazione degli affetti all’interno del legame, ottenuta tramite una comprensione e trasformazione del mondo interno di ciascun partner e soprattutto del modo in cui i due mondi si incontrano e si attualizzano nel rapporto.